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Recensione: Red Hot Chili Peppers – One Hot Minute (1995)

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All’alba del primo trionfale Lollapalooza, i Jane‘s Addiction si sciolgono, sputandosi in faccia. Le dita capaci di Dave Navarro diventano subito tra le più contese fra le altre due band fondamentali della scena di Los Angeles, entrambe bisognose di trovare un sostituto ai dimissionari Izzy Stradlin (Guns N’ Roses) e John Frusciante (Red Hot Chili Peppers). Sono questi ultimi ad avere la meglio, portando Navarro davanti alla barba di Rick Rubin per il sequel del plurimilionario Blood Sugar Sex Magik e costringendo i fan degli Addiction all’attesa per il risultato. Che arriva nei negozi nel settembre del 1995 col titolo di One Hot Minute. Nel mezzo, tra “quello” e “questo”, sono successe tante cose. Blood Sugar Sex Magik ha venduto un botto e i RHCP sono diventati la band più “calda” della West Coast. Ma il successo non ha curato le ferite personali del gruppo.
Kiedis è ripiombato nella sua tossicodipendenza, Flea ha visto naufragare il suo matrimonio tra le onde del Pacifico e Frusciante è infelice di vivere lo stress di un successo che ha travolto l’ assetto della band e trasformato l’allegra ciurma in un gruppo di tristi Pierrot. Nel frattempo, lontano ma non abbastanza dal gruppo, River Phoenix e Kurt Cobain lasciano volare le loro anime come palloncini d’elio. Per sempre. Al primo e al secondo dedicheranno due delle migliori ballate del disco: Transeeding e Tearjerker. Per questo, e non solo per questo, rispetto al suo predecessore (e nonostante certe arrabbiate scorribande di funky metal siano tra le migliori del canzoniere dei RHCP), One Hot Minute è attraversato da una cupezza che lo rende un capitolo a sé nella lunga discografia della formazione americana. Come se l’alchimia fra i tre peperoncini rossi e Navarro non si fosse mai realizzata compiutamente, nonostante il disco funzioni alla perfezione. Forse, addirittura, più dell’ingombrante BSSM, con una sottile e fosca ombra psichedelica che si allunga su alcune delle tracce (la più bella nella conclusiva Transeeding, la più eterea e sinistra nell’introduzione di Deep Kick, la più drogata nel finale dello stesso brano, la più hendrixiana nell’ultra funk di One Big Mob, la più turbinosa nell’inaugurale Warped) e che fa apparire la musica dei RHCP più cedevole alle emozioni di quanto non sia mai stata in passato e di quanto non lo sarà mai in futuro. (Franco Dimauro)



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