I Walkabouts di Chris Eckman, a lungo sottovalutati, sono diventati nel tempo una vera e propria istituzione musicale nell’ambito dell’alt-rock americano, il loro percorso artistico – prima perfezionato e poi consolidatosi tassello su tassello nell’ultimo ventennio e più – è imprescindibile per chiunque al giorno d’oggi abbia a cuore l’evoluzione (e i destini) delle roots folk e rock, da Elvis Presley a Bruce Springsteen passando per Dylan e il Neil Young più ‘rust’ e procedendo oltre. Ora la ristampa in ‘Deluxe Edition’ (ognuna in doppio disco, cui ha provveduto la Glitterhouse Records, loro attuale label) di due loro album (quasi del tutto) dimenticati, (e nel frattempo) diventati introvabili, Devil’s Road (1996, originariamente pubblicato su etichetta Virgin) e “Nighttown”, ci consente di parlare più distintamente della formazione e di queste nuove pubblicazioni discografiche. In molti, negli Stati Uniti hanno fatto ammenda e si sono cosparsi il capo di cenere per aver trascurato e/o sottovalutato la portata dei Walkabouts sugli scenari dell’Americana. Il folk rock della band proveniente da Seattle, culla del Grunge e città che ha dato i natali a Jimi Hendrix, dai toni sferzanti e malinconici ha invece trovato in Europa l’immediato riscontro da parte di certa critica e di un pubblico di nicchia, ma ben acclimatato alle trame sonore noir & alt del gruppo; laddove in molti hanno identificato Eckman & Co. come i successori più accreditati della mitica Band di Robbie Robertson, tanto da ritagliarsi una grossa fetta di considerazione cult. La loro musica evoca gli spazi ampi e malinconici della grande provincia americana, scenari familiari al cinema dei fratelli Coen o alla musica di Nick Cave, Leonard Cohen o di certi REM. Il mood concepito da Chris Eckman per i Walkabouts costituisce l’esplorazione crossover di un’America perduta e poi ritrovata, e le schegge acide di psichedeliche sonorità dispensate nei loro dischi hanno elementi seminali di grande portata per le nuove generazioni di musicisti che vogliono (devono) riallacciare le fila con trascorsi gloriosi, nel solco della grande tradizione dello storytelling a stelle e strisce. È un suggestivo, eclettico e vibrante blend di sonorità ‘alt’ caratterizzate da riff chitarristici prossimi alla distorsione e, tra le altre cose, dall’utilizzo reiterato di strumenti musicali non proprio convenzionali (violoncello, violini, clarinetto, trombone, etc.), che produce ballate evocative dall’elegante tessitura sui territori cari a Nick Cave, brani strumentali dal forte impatto sonoro, spezie western alla Morricone, qualche honky-tonk e boogie-soul. Chris Eckman e Carla Torgeson costituiscono il nucleo creativo della band; il modo di cantare di Chris, rabbioso, si sposa alla perfezione con il vocalismo più dolce ed intenso di Carla, ed il 54enne musicista-compositore ha titolo per essere considerato uno dei ‘nuovi’ grandi poeti americani. Nel 1996 la band firmava un contratto per la Virgin ed incideva due dischi che nelle intenzioni della casa madre dovevano permettere al gruppo di affermarsi presso un pubblico più ampio. Non è stato così in realtà, e dopo l’esperienza non proprio riuscita i Walkabouts tornavano ad incidere per la Glitterhouse Records, l’etichetta tedesca che tuttora gli annovera tra i propri fiori all’occhiello. Devil’s Road (del 1996) è stato registrato negli studi Conny Plank nei pressi di Colonia, gli stessi dove avevano lavorato precedentemente gruppi quali Kraftwerk, Devo e Can, ed è stato prodotto da Victor Van Vugt, responsabile tra gli altri anche del magnifico Life Full Of Holes di Chris Eckman e Carla Torgerson in versione privata e progetto a latere, affrancati dalla presenza del loro gruppo. La chitarra di Eckman non appare così in primo piano come in altri dischi e la voce di Carla già segnava notevoli progressi vocali rispetto al passato (si ascolti “The Leaving Kind” per esempio), e non si sarebbe certo fermata là. Un tocco inusuale ed eccentrico è stato l’utilizzo della Warsaw Philharmonic Orchestra per l’incisione di una buna metà delle tracce, un connubio insospettabile quello tra chitarre distorte e archi che però ha sortito un effetto straniante e per nulla peregrino; gli archi non offuscano le canzoni, non le sovrastano, e vengono utilizzati come contrappunto, non come un momento di elegante interludio, donando al progetto una inconsueta profondità sonora ed una più vivida ricchezza di particolari. La qualità delle canzoni è come al solito straordinaria; brillano “The Light Will Stay On”, dalla dolcezza infinita, che con il suo incedere potrebbe figurare in una ideale top-list delle più belle canzone dei Walkabouts, “Devil’s Road”. Ci sono poi la notturna “When Fortune Smiles”, “Fairground Blues” con l’Hammond in primo piano, la deliziosa “Christmas Valley”, il mid-tempo “Rebecca Wild”, la cavalcata elettrica di “The Stopping-Off Place”. Il bonus-disc contiene le demo di “Devil’s Road” e “The Light Will Stay On”, una “Christmas Valley” in versione più essenziale e meno accorata, priva degli archi, “The Leaving Kind” senza i violini ed una nuova versione dal vivo della traccia che dà il titolo all’album. Piuttosto diverso è, nello stile, “Nighttown” (Virgin, 1997, anche questo prodotto da Victor Van Vugt), anche se pur sempre impostato sul mix di chitarre, tastiere, violini e violoncello, e in nome di uno sperimentalismo sempre (e comunque) acceso. La differenza risiede principalmente nel climax più urbano e notturno di questo album rispetto ai toni più countryeggianti del precedente. Le cose migliori sembrano essere “Immaculate”, “Follow Me An Angel”, “Lay Your Burdens Down” e “Tremble (Goes The Night)”, gemme autentiche, e profonde, di una sensibilità artistica che non ha bisogno di altre parole. Il Bonus-CD contiene le demo di “Forever Gone”, “Harbour Lights”, “Slow Red Dawn” e “Nightbirds”, più una versione strumentale di “Sanitorium Blues”. Ognuna delle due ristampe ‘Deluxe’ è accompagnate da un restyling dell’art-work della confezione (proposta in multifold digipak), da un booklet di sedici pagine e dal già citato bonus-disc con alcuni inediti risalenti all’epoca delle incisioni originali. (Luigi Lozzi)
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