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Il Townes Van Zandt International Festival 2014

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Figino Serenza è un piccolo paese a metà strada tra Milano e il lago di Como e da qualche anno sta diventando uno dei punti di riferimento in Italia per la grande musica. Da quattro anni è approdato a Figino il Light of Day, un evento benefico annuale ideato da Bruce Sprinsgteen e Michael J Fox per raccogliere fondi a favore della ricerca contro il morbo di Parkinson. La carovana di musicisti del Light of Day comincerà a breve il tour mondiale e farà tappa in Brianza a Figino il 5 dicembre 2014 prima del grande evento finale che si tiene tutti gli anni a gennaio ad Asbury Park, nel New Jersey, insieme allo stesso Springsteen e ad altri straordinari ospiti. È decisamente questa una partnership importante per Figino Serenza, che con questo prestigioso evento ha una visibilità a livello mondiale confermando una logica di continuità cominciata diversi anni fa con il Festival Internazionale dedicato a Townes Van Zandt. Il Townes Van Zandt International Festival è arrivato alla sua XI edizione e non è un caso che abbia trovato casa non a Roma o a Milano, ma in un paesino sperduto di poche anime, perché Townes è stato un cantautore di culto che solo dopo la sua morte ha conosciuto il successo che avrebbe meritato. Townes Van Zandt è il cantautore dei cantautori e ha ispirato con le sue ballate un’intera generazione di musicisti e la critica specializzata lo pone sullo stesso piano di Bob Dylan e Leonard Cohen. Le sue canzoni sono state cantate da artisti del calibro di Norah Jones, Robert Plant dei Led Zeppelin, Sonic Youth, Devendra Banhart, Willie Nelson e dallo stesso Bob Dylan. L’appuntamento è per domenica 26 ottobre a partire dalle 17.00 nel suggestivo Teatro di Figino Serenza. L’ingresso è libero! Anche quest’anno il cast sarà di altissimo livello grazie alla straordinaria partecipazione di ospiti internazionali come la cantautrice di New Orleans Mary Gauthier, la texana Carrie Rodriguez, accompagnata dallo steel player Luke Jacobs, l’irlandese di Belfast Ben Glover, il “Johnny Cash” francese Eddy Ray Cooper e lo svedese di Malmo Richard Lindgren. Completano il cast una manciata di artisti italiani uniti dalla passione per lo straordinario Townes Van Zandt: Andrea Parodi, Mandolin Brothers, Little Angels & The Bonecrachers, Stefano Barotti, Tullamores, Shammer, Luca Milani, Late Night, Davide Buffoli, Miki Martina, Tiziano Cantatore, The Lonesome Pines, Erica Opizzi, Cesare Carugi e Stroszek. La serata sarà presentata da Elena Tambini e dal giornalista Alessio Brunialti che racconteranno al pubblico aneddoti e storie di Townes Van Zandt. A Elena Nuozzi il compito di illustrare dal vivo le canzoni che si materializzeranno su un grande schermo sul palco durante lo show e sotto forma di cartolina ricordo alla fine dello spettacolo. Dopo il concerto ci sarà la possibilità di cenare con gli artisti. Bisogna prenotarsi scrivendo una mail all’indirizzo pomodorimusic@gmail.com (specificando se siete vegetariani) per quello che è diventato un appuntamento cult e che vede coinvolta l’intera comunità del paese di Figino Serenza, dai giovani della Pro Loco all’Associazione dei Pensionati della III età. E per chi avesse voglia di festeggiare fino a tardi la festa continuerà presso il pub tisaneria Amandla di Cermenate dove chitarre e strumenti acustici si incroceranno di nuovo per un finale incandescente. In questi anni il Festival ha attirato pubblico da diversi paesi europei e statunitensi e il quotidiano americano Statesman ha pubblicato un ampio reportage sull’evento e sul paese di Figino Serenza. Vi aspettiamo numerosi per ricordare insieme uno dei più grandi cantautori di sempre, forse il più grande di sempre come sostiene Steve Earle: “Un giorno andrò a trovare Bob Dylan nel suo ufficio. Appoggerò i miei stivali da cowboy sulla sua scrivania. Lo guarderò in faccia e gli dirò che Townes Van Zandt è il più grande cantautore di tutti i tempi”.

QUALCHE INFORMAZIONE SU TOWNES VAN ZANDT

A Townes Van Zandt è toccata la sorte riservata da sempre ai più grandi autori, e cioè quella di tracciare un percorso capace di arrivare fino alle nuove generazioni. E’ per questo che la poetica lunare ed esistenziale del texano è giunta oggi ad influenzare musicisti di provenienze disparate quali Davanda Banhart, Sonic Youth, Cowboy Junkies, Tindersticks e molti altri che hanno mandato a memoria i chiaroscuri e le lacerazioni di “Waitin’ round to die”, “St. John the gambler”, “Nothin” così come l’intimismo ed il romanticismo di “If i needed you” e “None but the rain”, per poi costruirci sopra un’intera carriera. Townes Van Zandt ribadiva sempre a ogni occasione che i poli attorno ai quali ruotava la sua musica erano essenzialmente tre: Hank Williams, Lightin’ Hopkins e Bob Dylan. E se i primi due gli avevano fornito una voce per l’anima, da Zimmy il texano ricavò una voce per la mente. E’ tragicamente curioso accomunare poi il destino del padre della country music con quello di Van Zandt: entrambi scomparsi in silenzio in una fredda notte di capodanno, l’uno a 45 anni di distanza dall’altro, entrambi perduti nel loro eterno peregrinare tra le strade secondarie d’America. Townes che, di fatto, portò ancora più avanti quei limiti che Williams aveva già rimosso e segnato nel suo breve decorso terreno. I dolori sentimentali e familiari della country music diventarono in Hank Williams lo specchio del fallimento di un uomo, molto più di quello che Nashville riusciva a sostenere tra i lustrini e le balle di fieno del Grand Ole Opry. Ma in Townes queste stesse sconfitte si mutarono in qualcosa d’altro, in voragini dell’anima e buchi neri da cui la luce non fuoriusciva mai. “Nothin’”, appunto: un Niente in cui l’uomo era nudo di fronte al mistero della propria anima e del proprio Dio perduto, “Alone and forsaken” come cantava Hank. Partito dai folk clubs a dalle coffee houses di Houston, respirando solo lontanamente il vento del cambiamento che spirava dal Greenwich, Townes completò nel tempo la propria maturazione da folksinger a poeta folk-hippy come lo ha definito Guy Clark. Mentre in California la legge dei fiori imperversava, Townes incontrò al Jester Lounge altri tre scapestrati imbevuti tanto di good vibrations quanto di Mezcal e di musica Mariachi: Jerry Jeff Walzer, Guy Clark e Mickey Newbury. Furono proprio loro ad unire il mondo alcolico del blues e di Hank Williams e le storie tragiche del country con le visioni surreali e i personaggi improbabili ricavati dalla cultura hippie e dal milionesimo ascolto di “Desolation Row”. Townes iniziò allora quel life-style che creò il suo tragico Mito: una vita spesa tra l’abuso di alcool e droghe e la scrittura di indimenticabili capolavori che però avevano tutte le caratteristiche e lo spirito di moderne folk-songs. La scena della nuova canzone d’autore texana era praticamente già nata e mentre intorno a questi sporadici segnali cominciavano già a riunirsi pensieri, idee e personaggi quali Richard Dobson, Steve Young, i Flatlanders, Rodney Crowell e un imberbe Steve Earle, Townes aveva già consegnato alla Storia sei album e una valanga di capolavori assoluti della canzone d’autore americana: “Tecumseh valley”, “Kathleen”, “For the sake of the song”, “Lungs”, “If i needed you”, “Pancho and Lefty” e molti altri ancora. Sei album che furono di fatto invenduti, che portarono al fallimento la Tomato di Kevin Eggers non superando mai i confini del Lone Star State, ma che contribuirono a creare la leggenda locale di Townes Van Zandt, la cui vita e le cui vicende erano avvolte dal mistero ed affascinavano giovani ragazzi di strada come Joe Ely e Jimmie Dale Gilmore. Un canzoniere assolutamente nuovo era ora agli occhi e alle orecchie di un’intera nuova generazioni di artisti, un straordinaria collezione di storie che vedeva Hank Williams sposarsi con le strutture del blues; il rigore poetico del primo Dylan accompagnarsi ad una poetica stralunata ed esistenziale di chi, ogni tanto, gettava uno sguardo troppo profondo sul lato oscuro dell’esistenza. Un giovanissimo Steve Earle batteva tutti i bar del Texas in cerca di un qualsiasi segno del passaggio del suo idolo, ma Townes si era oramai già perduto, iniziando una seconda fase della sua carriera che lo vedrà riemergere solo di tanto in tanto dai suoi “buchi” alcolici per consegnare un manciata di splendide canzoni, vere e proprie cartoline dall’inferno vergate su carta prima di indossare nuovamente le “scarpe volanti” e sparire di nuovo. Negli anni a venire arriverà anche il grande successo di massa per bocca di Willie Nelson, Merle Haggard e Emmylou Harris, ma questo rimase solo un dato utile alle classifiche di Bilboard. Townes aveva già oltrepassato il confine, quella soglia dove vita ed arte non si distinguono più, dove sei tu stesso ad alimentare la leggenda che ti circonda prima ancora che siano gli altri, e il tempo con essi, a farlo. (Fonte: Pomodori Music)



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