Cieli coperti su spiagge di bagnanti. Il senso d’impotenza di una generazione, come un forziere di contanti di una valuta non più in vigore. La mutezza dei monumenti e dei centri storici, baluardo di una tradizione ormai svuotata di ogni storia e memoria. E poi la disperata ricerca dell’autenticità di rapporti sempre più sfilacciati, minati da una precarietà geografica ed esistenziale senza precedenti. Tutto questo è Le nostre domeniche, il secondo album in studio dei Lettera 22, impreziosito dalla produzione artistica di Paolo Benvegnù. Un lavoro che si inscrive nella tradizione cantautorale italiana con la disarmata volontà di costituire la testimonianza, l’epica minima di un tempo tutt’altro che sereno e stabile. Il nuovo disco arriva a quasi tre anni dall’esordio Contorno Occhi. Tre anni in cui la band marchigiana, con l’ostinazione di chi ancora crede che fare musica sia un atto necessario e rivoluzionario, ha ristrutturato il proprio sound e rigenerato il proprio immaginario lirico. Il titolo del disco prende spunto dal fatto che la “domenica” è la dimensione in cui le canzoni sono state concepite e sono nate: la domenica come tempo liberato dal lavoro e dilatato dall’assenza dello stesso, come tempo ritagliato per trovarsi e fare musica. Le dodici tracce che lo costituiscono, nel loro toccare mondi sonori molto diversi, sono un racconto sul senso del “tempo” e sulla percezione che di esso abbiamo nel mondo contemporaneo. Lo scorrere del tempo e i suoi effetti diventano così il “filo rosso” che lega queste storie. Il tempo speso nell’attesa di un obiettivo e carico di aspettativa del singolo “I giorni che non c’eri”; il tempo imploso in uno scatto fotografico, l’istante in cui la “grande” storia si riverbera nel quotidiano di “1980”; il tempo della fine delle aspirazioni e della crisi, che definisce lo scontro fra idealità e reale di “Contanti”; il tempo che si sedimenta fra individui e amplifica la distanza di “Ti chiamo per nome”; il tempo che certifica la fine di un rapporto di “Centimetri”; il tempo di cui abbiamo bisogno per osservare la realtà dalla giusta prospettiva di “Continentale”; il tempo che precede una rivelazione e dal quale partiamo per riappropriarci delle nostre vite di “Finestre aperte”; il tempo della relazione fra sensibilità differenti, il frangente in cui collidiamo con un “altro” da noi di “Di un giorno feriale”; l’altro “tempo”, quello dello scorrere delle stagioni, misurato con altri parametri, quelli di una natura che non si cura delle quisquilie degli uomini di “Aironi”; il tempo circoscritto dall’abitudine dei gesti, speso cercando di costruire con pazienza un istante che sia perfetto de “Il sarto”; il tempo fuori dal calcolo normale dello stesso, in un “non luogo”, dove il desidero scandisce l’attesa per qualcuno di importante di “Drive in”; il tempo dei luoghi dai quali proveniamo e nei quali rischiamo di rimanere imprigionati, come se il tempo non passasse mai. Luoghi “comuni” a tutti, dove le abitudini diventano noia, dove immaginarsi diversi e mettere in atto questa immaginazione è ancora l’atto più eversivo possibile, come nella title track “Le nostre domeniche” che chiude il disco. Le nostre domeniche è un album che racconta la necessità di riappacificarsi con le proprie radici, di perdonare il luogo da cui si proviene che non offre altra scelta se non quella di andarsene – raccontano i Lettera 22 -. Per questo motivo l’immagine ricorrente delle dodici canzoni, reinterpretata nell’artwork dall’artista brasiliana Thais Graciotti, è il mare: il mare come allegoria di cambiamento e di stasi, come soglia concreta di un’italianissima provincia costiera. Ne “Le nostre domeniche” il confronto è anche con la generazione dei nostri padri, con il senso della Storia e del tempo che passa. Trovarsi nell’oggi avendo coscienza dello ieri, senza sapere come fare a mettere insieme i pezzi di un puzzle impazzito. Questa dimensione si riflette anche nel sound dell’album, che unisce l’esperienza europea della New Wave e della New Romantic a un gusto per il calore analogico, per la melodia e la ricerca nei testi più marcatamente italiano. Una difficile dialettica che è stata orchestrata dalla produzione artistica di Paolo Benvegnù, che è stato la nostra guida prima in sala prove per la scrittura dei brani poi in studio per la registrazione e il mixaggio.” (Fonte: Libellula Press)
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