Lo scorso 21 ottobre è uscito Ballyturk, il nuovo lavoro discografico di Teho Teardo nato dalla collaborazione con il drammaturgo Enda Walsh e con la partecipazione speciale degli attori Cillian Murphy e Mikel Murfi e dei musicisti Joe Lally (Fugazi) e Lori Goldston (violoncellista dei Nirvana). Otto composizioni di “confine” concepite inizialmente per l’omonima opera teatrale di Walsh e successivamente rielaborate e registrate da Teardo in maniera davvero impeccabile. E noi, che da queste parti abbiamo sempre avuto un debole per i suoi lavori, non potevamo che approfittarne per rivolgergli qualche domanda a proposito di questo nuovo album. Ciò che segue è il risultato di un breve e veloce scambio epistolare con il musicista e compositore italiano. Non ci resta quindi che augurarvi buona lettura.
Intervista a Teho Teardo di Luca D’Ambrosio
Allora Teho, quando hai incontrato Enda Walsh?
Ci siamo incontrati a Londra, un anno fa, subito dopo aver ricevuto una sua mail inviata al mio sito.
Dal punto di vista artistico, cosa ti ha spinto prima a collaborare per la sua opera teatrale e poi a realizzare questo disco? Qual è stata la scintilla?
Sono una scintilla, prima di spegnermi faccio tutta la luce che posso. Inoltre non è affatto detto che mi spenga, ma nel frattempo faccio qualsiasi cosa con tutta la dedizione e cura come se dovesse esser l’ultima cosa che faccio. Suonare è seriamente una questione di vita o di morte. C’è qualcosa di assoluto nel suono.
Eccezion fatta per i tuoi recenti lavori al fianco di Blixa Bargeld, con Ballyturk si ha la sensazione definitiva che tu vada sempre un po’ più in là della solita formula che ti vuole autore e compositore di colonne sonore. Se questa impressione si era già avvertita fin dalle tue prime composizioni, ora a mio avviso è abbastanza evidente. Insomma, voglio dire: ogni volta i tuoi dischi sembrano avere una vita propria, a se stante, anche se sono legati a un film, un documentario, una pièce…
Spero che i dischi sopravvivano al motivo che li ha generati. Anche che sopravvivano a me. Quando vengono ascoltati, per quei pochi che ancora ascoltano degli album interi, io non sono lì e quindi è importante che il disco racconti esattamente quello di cui consiste, in mia assenza. Le formule servono alla stampa per far meno fatica e consegnare più recensioni in un mese mettendo i dischi nelle caselle come se fossero gli esami del sangue.
C’è un particolare processo (mentale e concreto) che ti piace seguire ogni qual volta ti appresti a realizzare le musiche per qualcuno o con qualcuno?
Non ho una formula, in realtà detesto le formule. A meno che tu non sia i Ramones, le formule non hanno senso. Sognare è determinante, serve per trascendere la realtà ed elaborarla. Agli artisti si chiede questa elaborazione, non significa ritirarsi nel proprio nido, ma rimettere a fuoco quanto abbiamo sotto gli occhi e che spesso non vediamo.
Ascoltando le tue composizioni si ha quasi l’impressione che sia il dettaglio sonoro a farla da padrone. Un dettaglio talvolta ossessivo e reiterante su cui si sviluppa l’intera struttura del brano. Come se cercassi di scavare nell’anima dell’ascoltatore…
Non penso agli ascoltatori quando scrivo, penso a un modo per prendere un elemento e trasformarlo in qualcos’altro, attraverso uno spostamento. La musica sposta qualsiasi cosa.
Torniamo a Ballyturk. Nel disco appaiono gli attori Cillian Murphy e Mikel Murfi, i musicisti Joe Lally dei Fugazi, Lori Goldston (già violoncellista dei Nirvana) e altri ancora. Come nascono queste collaborazioni?
Tutti hanno un senso, anche se apparentemente non si nota, anzi, meglio se non è chiaro. A parte la questione di evidenza nel caso di Cillian e Mikel, protagonisti di Ballyturk, ma vogliamo parlare dei meravigliosi pomeriggi che trascorro suonando in studio con Joe? Oppure disteso su un divano a scoprire che avevo imparato a memoria l’album di Lori? Tutto converge, anche arbitrariamente in quel che seguo nel momento di realizzazione di un disco.
Quanto tempo ci hai lavorato sopra?
Decenni. Almeno trent’anni. Come le rughe, te le devi coltivare. Per fare ogni disco mi serve riferirmi almeno agli ultimi trent’anni, guardando avanti, necessariamente.
Bellissima la copertina. Ci farei un poster da appendere in camera.
È una foto realizzata da un bravissimo fotografo, Richard Gilligan, inoltre quello scatto con Cillian e Mikel mi trascina immediatamente dentro Ballyturk.
Possiamo definire Ballyturk un disco di confine?
Abitavo in una regione di confine il Friuli, parecchi anni fa. Il confine mi è sempre parso potesse essere un vantaggio, un corridoio che consente il passaggio da una parte all’altra. È quello che cerco di fare con la musica.
Una delle tue grandi capacità è quella di essere un personaggio trasversale, in grado di unire un certo intellettualismo musicale con la parte più energica, oscura e fisica del rock.
Non sono un personaggio, sono una persona. La stampa gode nel creare e seguire i personaggi. I personaggi non fanno musica, di solito sono il risultato di un ruolo interpretato e nella mia vita i ruoli vengono relegati al lavoro degli attori nei film. Nel resto bisogna metterci la faccia, la propria, non quella degli altri.
Cosa stai preparando di nuovo?
Sto lavorando alle musiche per tre film di Man Ray. L’uomo raggio è uno dei miei miti di sempre. Le eseguirò dal vivo il 6 e 7 dicembre a Villa Manin (Passariano di Codroipo, in provincia di Udine) dove c’è una grande retrospettiva sul suo lavoro. Tra poco riprenderò a lavorare a un nuovo album con Blixa. Ho già molte cose in mente per il prossimo disco.
E invece cosa stai ascoltando ultimamente?
Ascolto dischi nuovi e vecchi. Vado avanti e indietro nel tempo.
Al solito, grazie per la disponibilità.
Grazie a te Luca, un abbraccio e spero a presto.
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