Eccolo il nuovo singolo di Paolo Tocco. Si intitola “Aveva Vent’anni” e dalla sua uscita colleziona solo entusiasti riscontri di critica e di pubblico. Un video accattivante, un bel brano che si piazza in classifica su network radiofonici e non solo, un ottimo spunto per i giornalisti e terreno fertile per chi ha voglia di pavoneggiarsi in qualche saccente critica. Due chiacchiere con Paolo Tocco a portata di telefono, cantautore oggi, ma soprattutto promoter e discografico. Due chiacchiere per un solo punto di vista, diverso da molti altri. Una delle tante interviste che vorremmo fare e raramente troviamo quella semplicità e voglia di mettersi in gioco con altrettanta onestà. Tanto di cappello, che lui, a quanto pare, di cappelli se ne intende.
Intervista a Paolo Tocco di Alessandro Riva
Ciao Paolo e bentrovato. Pronto a delle domande piccanti e scomode? Credo che solo questa sia la vera terapia d’urto per incontrare un artista.
Un piacere trovarti Ale. Pronto prontissimo. E infatti inizio col dirti qualcosa che ci siamo detti “fuori onda”. Non ci sono domande stupide né domande scomode. Chi trova scomode delle domande è perchè forse ha qualcosa da nascondere. Di sicuro non è il mio caso e di sicuro non è su questi argomenti che si insinua il “pericolo”. Che poi non sono uno che fa interviste da 40 anni che, quindi, sarebbe quasi legittimato a stufarsi di alcune risposte. Direi che hai carta bianca.
E carta bianca sia. Infatti la prima domanda parla di cappelli. Fa molto cantautore onestamente. De Gregori, Dalla, Bob Dylan. Che moda è? Una modo di emulazione?
Fa molto cantautore? Non dimenticarti che sono stato per anni un prestigiatore e in quel mondo i cappelli imperavano ovunque. I cappelli non sono una moda, almeno per me e sono quasi sicuro (mi perdoneranno la presunzione) che non è una moda neanche per nessuno dei nomi che hai citato tu. Loro in particolare fanno parte di un’epoca in cui la moda praticamente non esisteva, almeno come la conosciamo noi oggi. Per chi mi conosce sa che indosso cappelli da quando avevo meno di 10 anni e la loro forma è cambiata di pari passo alla maturità e al tempo. La musica è arrivata anni e anni dopo i cappelli. Ricordo per esempio che quando venni chiamato per la proclamazione della mia laurea, arrivai in cattedra appena in ritardo perché persi del tempo nel sistemare sulla sedia il mio finto Borsalino in modo che non si schiacciasse sotto i cappotti e la borsa di mia madre. L’uso continuo di cappelli penso invece che derivi da aspetti più psicologici e caratteriali. Mi fa pensare alla pipa, non è tanto il gusto ma il carattere a comandare. Quasi quasi mi sento “nudo”, come privato di qualcosa, se esco senza cappello. Ma se invece di perderci in comode vie di uscita in giudizi superficiali ci fermassimo a guardare bene si vedrebbe lontano un miglio chi emula e chi è quello che vive davvero l’oggetto che indossa. In ultimo ti dico: se è vero che delle persone si possono somigliare fisicamente non è detto che non si possano somigliare caratterialmente con i pro e con i contro…Ed ecco che elementi così “personali” come un cappello possono combaciare nell’aspetto come nelle abitudini. Poi il caso vuole che alcuni di questi facciano lo stesso mestiere…
Poi però ascoltiamo la tua musica, De Gregori torna prepotente. Non ti pare siano troppe queste coincidenze?
Si hai ragione. Non posso negarlo. Ma di nuovo dovremmo fare uno sforzo per andare oltre. Sono altri gli elementi che si “rubano”. La somiglianza non sta nei cappelli e in un certo modo di scandire le parole. Se fossimo più precisi ci accorgeremmo che di un quel mondo musicale (enorme tra l’altro) c’è davvero poco. Che poi nominiamo sempre De Gregori perchè, a dirla tutta, è lì che arriva la conoscenza che abbiamo della musica (che non si offenda nessuno, mi sto riferendo un po’ alla buona ad una media popolare). Ma ci sarebbero ben altri nomi molto meno conosciuto da cui ho attinto e in misura molto maggiore. E non solo per quel che riguarda la scrittura ma anche negli arrangiamenti, nei testi…
Ok, però cosa rispondi a chi ti dice “Mi ricordi proprio De Gregori”?
Beh, ma ha ragione! I tratti fondamentali sono quelli, almeno e soprattutto in questo brano. In particolare il drumming ricorda molto “Il bandito e il campione”. Ma come questo ce ne sono milioni di altri brani a cui si può far riferimento ascoltando la mia “Aveva Vent’anni”. Sai qual è il piccolo grande problema che un pochetto mi fa dispiacere e che penso la dica lunga sull’attenzione e sul rispetto che mettiamo nell’ascolto e nella critica? Che dopo quasi un mese di promozione e centinaia di commenti, dai più diversi e inaspettati a quelli più scontati, solo una persona – e sottolineo solo una persona – si è accorta che il brano cita spudoratamente “Lucy in the sky with Diamonds” dei Beatles! Poi però tutti sappiamo citare De Gregori. Ecco la media di cui parlavo prima. Tu, per esempio, te ne eri accorto?
A dire il vero no, non ci avevo fatto caso.
Tranquillo nessun problema, ci mancherebbe. Va benissimo. Però ribadisco il concetto che se ci fermiamo a commentare le cose fermandoci alla superficie di come appaiono non ci diamo molte possibilità di capire davvero cosa abbiamo davanti, bello o brutto, giusto o sbagliato che sia.
Beh, allora dicci: il resto del disco cosa promette? Che aspettative vuole premiare?
Non promette altro che il mio divertimento e, spero, qualche buona emozione da parte delle persone che mi vogliono bene. Per tutto il resto del mondo (come si dice) non ho ambizioni e non sono nessuno per averne o per aspettarsele. Se questo disco arriverà sarà un onore per me, per ogni singolo applauso o critica costruttiva. Il disco avrà undici tracce e, soprattutto grazie alla produzione di Domenico Pulsinelli, troverete 11 canzoni differenti tra loro. Hai citato De Gregori. E se ti dicessi che c’è dell’Islanda dei Sigur Ros? E una certa elettronica di Jean Michel Jarre? E se ti dicessi che troverai delle chitarre alla Negrita piuttosto che una certa tradizione etnica di alcune produzioni di De Andrè? E molto altro ancora ascoltando “Aveva Vent’anni” non dobbiamo fare l’errore di aver capito un disco intero. Forse questo è lecito farlo nel mero pop commerciale, anche se sempre sbagliato per come la vedo io.
Da più parti hai dichiarato che questo disco vuole mettere in mostra un certo modo di lavorare. Mi viene da chiederti: fino a ora, con gli altri artisti che hai curato, è stato fatto un lavoro sbagliato o non esattamente come volevi tu?
Esatto. Mai esattamente come volevo io. Che da una parte è anche giusto altrimenti farei la mia musica e non quella di un altra persona. È doveroso lasciare spazio e contaminazione libera alla creatività di chi decidi di seguire. Ma poi ci sono tempi, ambizioni, dinamiche che non sei mai libero di seguire e non hai mai la credibilità per “imporle” o gestirle al meglio cercando di evitare tante ingenuità e piccoli errori. Parlo di cose oggettive e meramente lavorative che eludono dal discorso creativo, parlo dei tempi di pubblicazione, parlo di un certo modo di apparire in foto piuttosto che in radio piuttosto che su un giornale, parlo di quelle piccole caratteristiche che sembrano invisibili ma fanno la differenza come per esempio il come usare un social network, il quando salire su un palco a cantare, il come rispondere a un’intervista… E l’elenco potrebbe essere infinito. E non potendo scendere nei dettagli sembra anche molto confuso. L’artista è un mestiere complesso che non si limita solo al suonare o allo scrivere. Oggi più che mai. La discografia, come per tutti i mestieri, ha delle burocrazie e delle regole, ha degli standard di qualità piuttosto che un certo modo di fare il mestiere. Inutile dirti che tutti si credono subito grandi professionisti, che tutti sono già esperti e che tutti si sentono derubati dal sistema. Poi alla fine “nessuno” di questi (le virgolette sono obbligatorie) conosce le regole del gioco e, peggio ancora, sono pochi quelli disposti a scoprirle. Meglio chiacchierare a vanvera. Quindi, per concludere, questo disco mi ha dato per la seconda volta la possibilità di fare tutto secondo quello che io penso sia giusto fare. Ed è il modo migliore per capire se sto facendo bene e quindi imparare ancora una volta da tutti gli errori che incontrerò. Ho tanta voglia di imparare ancora.
Be’, però sarai d’accordo con me che la tua non è di sicuro una musica rivoluzionaria. Che tipo di approccio hai in questo senso?
Non lo è, verissimo. Ma non lo vuole essere e mai sia detto il contrario. Io faccio solo e semplicemente la musica che so fare. Torniamo al concetto di sopra. Qualcosa risulta nuova se non abbiamo una cultura in merito. Ma chi ascolta davvero musica e chi di questa passione ne ha fatto un mestiere, al di la dei nomi e delle citazioni didascaliche che sa esplicitare parlando di dischi, si accorgerà che di nuovo e di rivoluzionario c’è davvero poco. Ed io sicuramente non sono nessuno per regalare all’Italia intera e al mondo un nuovo modo di fare canzoni. E tra l’altro trovo anche antipatica ed inutile questa continua quanto estenuante rincorsa all’originalità quando invece sono io il primo a non conoscere le canzoni italiane che hanno fatto la storia. Come quelli che girano il mondo e non sono mai stati a Roma. Questa voglia che viene sbandierata quasi come fosse un bisogno di essere diversi e originali! Scusa, forse sto usando dei toni un po’ forti. Ma sono della scuola che dovremmo prima imparare a suonare la chitarra e poi a inventarci scale cromatiche mai sentite prima o a fare gli schizzinosi e i perfezionisti sui modelli di acustiche da comprare.
Quindi mi lasci intendere che la maggior parte delle cose che non funzionano, almeno in questo ambito, sono date da una scarsa conoscenza e rispetto del lavoro?
E chi sono io per sapere cosa non funziona nel mondo? Non è una responsabilità che voglio. La rifiuto, mi dispiace. Io, fortunatamente, so solo quali sono stati gli errori che ho fatto io nel tempo. E molti altri ne devo ancora incontrare, errori che ora neanche immagino. Spero solo accada il prima possibile. Cosa ci sia di sbagliato nel lavoro degli altri (se c’è) non lo so e sinceramente non spetta a me dirlo.
Devo dire che hai retto benissimo le domande insidiose. Molti altri si sarebbero spazientiti. Ne ho incontrate di situazioni che non sto qui a raccontarti, perché secondo te?
Wow! Grazie del complimento. Guarda personalmente odio i vip e tutte le dinamiche che fa figo avere perchè sbandierate in televisione. Siccome qualche grande nome di carattere è facilmente irritabile, spesso ho l’impressione che ci sia emulazione anche in quel senso, perché fa scena, dicono. Ma alla fine, sarete tutti d’accordo che, quando incontri un grande artista, un vero grande artista, certe cose non esistono e non esisteranno senza un plausibile motivo. Quando parlo dei VIP parlo di tutti quelli che fin dalle prime armi e dai primi passi si atteggiano in dinamiche che sinceramente neanche spreco tempo a raccontare.
Io credo che ogni domanda sia lecita e assolutamente doverosa fare. E noi (mi metto dalla parte degli artisti) abbiamo il dovere di rispondere. Un’intervista come questa è un favore che ci state facendo. La visibilità del nostro lavoro è merito vostro. Cos’altro c’è da dire? Niente. Solo grazie. Qualunque sia la domanda, non ho niente da nascondere. Sta poi alla sensibilità e all’onestà intellettuale di chi ascolta e legge queste parole valutare e farsi la giusta impressione.
In ultimo. “Aveva Vent’anni” è il singolo che ora ti sta dando moltissimo. Te lo aspettavi? E forte di questi riscontri, ti viene da crederci veramente? Al disco che aspettative riponi?
Se ti dicessi di no sarei ipocrita. Certo che la testa un po’ parte e le fantasie seguono a ruota. Ma in fondo, per quanto belli e numerosi, sono comunque riscontri “piccoli” e ben lontani dal grande mercato. Quindi è bene tirare le redini e star fermi con i piedi per terra. Sorrido quando vedo scritte strategiche e frasi fatte come successo di visualizzazioni, a oggi sono oltre cinquemila. Niente. Pochissime. Forse cresceranno. Forse no. Ma credimi, sarei legittimato a montarmi la testa se il contatore di youtube fosse a 100 mila dopo la prima settimana. Certo però che quando sali in macchina, accendi la radio e per puro caso un network nazionale manda in onda il tuo brano, beh, concedetemi nel mio piccolo un grido di infantile estasi. Non ci sono abituato. E direi che questa la dice lunga su quanta strada ancora mi attende da qui al prossimo divenire. E qualunque esso sia, non può che farmi del bene.
Produttore della Protosound o cantautore con il cappello?
Bella domanda. Fai tu. Di sicuro non faccio il cantautore per mestiere. Però, che sia mia o di qualcun altro, faccio musica perchè amo questo mestiere. E penso che non potrei fare altro in vita mia. Che poi, in mille modi vogliamo guardarla, non c’è poi tanta differenza.
Grazie Paolo per la tua splendida disponibilità. Non mi capita spesso.
Grazie a te, Alessandro. Finalmente una bella intervista.
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