Si intitola Chimera ed è il quinto disco di uno dei più visionari e poliedrici artisti che la scena indie italiana abbia mai avuto. Di sicuro un nome, quello di Ottodix, che fa più presa in paesi esteri come Berlino anziché in uno scenario pop rock nostrano dalle mille sfaccettature, dove però più volte la trasgressione e la libertà espressiva viene bandita dai grandi mezzi d’informazione. Due chiacchiere con Alessandro Zannier (Ottodix), due parole spese bene, altra forma da dare a un disco che non ha certo voglia di essere racchiuso dalle forme, specie se canoniche.
Intervista a Alessandro Zannier (Ottodix) di Alessandro Riva
Partiamo subito dal concetto di “Chimera”. Se la intendessimo come qualcosa da raggiungere nella fantasia, Ottodix cosa insegue che ancora ha raggiunto?
Credo che sia una domanda esistenziale un tantino difficile. Professionalmente cerco di realizzare un’opera di arte totale e piano piano mi ci sto avvicinando, anche se mi ci vorrebbero mezzi economici di gran lunga superiori. La mia personale sfida e chimera è forse quella di riuscire a riportare agli spettatori, al pubblico, alla gente, quanta più possibile, il gusto della complessità, della scoperta, dello scavare sotto il primo significato apparente ed epidermico. Credo che in quest’epoca piena di problemi, uno dei principali sia proprio questo: la mancanza di capacità di concentrazione, di approfondimento, di analisi delle cose. La mancanza di questa capacità rende la gente debole e alla mercè di chi ne approfitta. Forse sarà una lotta contro i mulini a vento, ma credo sia preciso dovere di ogni artista in questi tempi bui, quello di non cavalcare più l’onda del fashion, della superficie, del non detto, della leggerezza a tutti i costi, del linguaggio pubblicitario o esteticamente valido, ma di restituire all’arte il potere di creare cultura. Nel mio piccolo voglio fare la mia parte.
In uno scenario di crisi sociale e intellettuale, Ottodix che senso restituisce al suo fare arte di un certo spessore?
La risposta sta già nella tua domanda. L’arte deve avere un certo spessore, o almeno ci deve provare,altrimenti non lo è. L’arte deve indurree a uno sforzo, deve sondare per prima territori di analisi inediti, lanciare un ponte, un dubbio, deve presagire il cambiamento dei tempi, deve avvertire dei pericoli e deve denunciare le storture del mondo. E per denunciare tutto questo devi anche tenere una porta di dialogo e di accessibilità aperta al pubblico, devi bilanciare i due linguaggi. Cosa che oggi l’arte contemporanea non fa o se ne infischia. Se non si occupa di questo, per me non è arte, né cultura, ma artigianato o moda pret à porter per fighetti, designer e modaioli all’inseguimento del trend.
Modelli di mostri e spauracchi proveniente dall’antichità. Elettronica e “futurismo” di domani (forse). Il presente ti va stretto?
Dai, a chi non va stretto? Su… Non mi dirai mica che è opinabile che viviamo in un’era in cui si sono accatastati una serie di problemi lasciati in sospeso per eccesso di velocità? Credo che in questi ultimi 15 anni ci stia tornando indietro di colpo il conto salato di questa corsa spasmodica, partita nel ‘900. Territorio saturo, economia implosa, sfruttamento umano e delle risorse al limite, guerre preventive e provocazioni sociali, abusi di potere e sperperi senza lungimiranza, su scala mondiale. Ovviamente tutto questo in Italia assume i connotati della parodia, se non della tragedia. Sì, mi sta stretto il presente, vorrei essere ancora giovane tra venti o trent’anni, quando son sicuro che le cose saranno cambiate un minimo in meglio. Ma non è possibile.
Metafore, illusioni, visioni. Di sicuro ermetico. Niente di scontato ed immediato nei tuoi testi e nella tua musica. Perché la scelta di questa forma canzone? Vuoi nascondere i tuoi significati? Pensi sia “comprensibile” davvero da tutti oppure molti lasceranno per strada pezzi fondamentali alla comprensione di un messaggio?
Guarda, sul fatto che sia ermetico è tutto relativo. Mi spiego. Questo livello di comunicazione che tu giudichi ermetico, forse fino a vent’anni fa era considerato ineressante, un po’ da approfondire, ma tutto sommato abbastanza usuale per chi fa cantautorato di un certo livello. Devi sapere che i critici di rock alternativo o di musica di nicchia mi dicono spesso di adottare una musica troppo pop, mainstream, per i miei brani. Insomma mi dicono tutto il contrario. Mi fa sorridere questa cosa, perché io volutamente, ponendomi il problema di dover veicolare il messaggio, utilizzo un linguaggio per metafore (vecchio come la notte dei tempi), ma lo riporto in strutture pop e ricerco ritornelli orecchiabili in cui le frasi siano slogan lapidari, ma chiari. Insomma, credo che gli album di Ottodix siano estremamente “pop” nelle strutture. E’ che la gente ora non solo è abituata al pop-sound, ma anche a sentirlo infarcito di banalità tali che per contrasto io sembro un ermetico intellettuale dell’800, mentre invece utilizzo un livello di linguaggio che la musica ha sempre avuto e che forse ha perduto da poco. Credo insomma che sia la soglia generale di capacità di ascolto e di lettura ad essersi abbassata, non io a fare l’ermetico e l’eccentrico. Insomma, guarda cosa faceva Battiato negli anni settanta ottanta: nelle sue massime concessioni al pop parlava di filosofia e rimandi a culture orientali, citazioni e cose che oggi sembrano follie. Eppure all’epoca si andava in classifica con quelle cose, bastava affiancarle a un piccolo “cucurucucuu paloma” e la cosa funzionava. Ora sarebbe impensabile, lo può fare solo chi lo ha fatto all’epoca e nel frattempo è diventato famoso e inattaccabile.
Pensi che un simile approccio compositivo, conosciuto da pochi e da pochi promosso, ti renda la vita facile in termini di originalità?
In termini di originalità si, logicamente, almeno in quello si. È l’unico vantaggio a intraprendere strade coraggiose: sei originale, e questo è eticamente bello, ma inevitabilmente piaci a pochi, e questo è una seccatura perché ti impedisce di realizzare cose più grandi e ambiziose. Paghi una scelta, ma tutto sommato non mi lamento. Il nome di Ottodix nonostante tutto gira da anni e ha i suoi sostenitori, è riuscito a passare su MTV e altri canali televisivi e in molte radio, negli anni (Virgin radio compresa), è stato ospitato a Radio 24, Radio Rai più volte a dimostrazione che è riuscito a creare un ponte tra la sua ricerca e il pubblico, trovando l’interesse della stampa.
Allestendo una mostra di Ottodix non senti di “tradire” l’anima del musicista e viceversa?
Premetto che Otto Dix, essendo un noto pittore morto e sepolto, è l’unico e vero Otto Dix in arte. Quindi quando si parla delle mie mostre io inevitabilmente torno ad essere Alessandro Zannier e a firmarmi come tale. Ottodix è puramente uno pseudonimo in musica. Riguardo al tradimento, assolutamente no, anzi. la particolarità che mi sta distinguendo è proprio questa mia necessità di unire due aspetti arte e musica in progetti così interdisciplinari. Una cosa non può fare a meno dell’altra e deve necessariamente rappresentare il completamento dell’altra. Io sono un artista concettuale, nel senso letterale del termine: creo dei “concept”, che sviluppo poi sia in arte che in musica che in letteratura. (l’anno scorso ho pubblicato il mio primo libro e credo che rifarò l’esperienza). Quando hai un buon concetto che si presta a interpretazioni e induce a riflessioni sulla contemporaneità, il costruirci sopra musica o arte visiva o letteratura è secondario. Limportante è che ogni cosa che fai sia all’altezza della situazione, coerente e sia credibile. Questo è il difficile e io ci lavoro ogni giorno sulla credibilità come artista visivo e come musicista. Troppo spesso si trovano musicisti che si improvvisano pittori o artisti che si mettono a strimpellare. Il difficile è suddividere equamente la qualità in entrambe le discipline.
Il dannato equilibrio di arrivare alla gente e dar voce all’istinto e al proprio genio creativo. Spesso le cose non combaciano. Per un artista così sperimentale e visionario come te?
Credo di avere già risposto a questo. Ci sono artisti più contorti e cervellotici di me. Il messaggio di Chimera è molto chiaro. È un incitamento a superare le vecchie ideologie e utopie fallite del XX secolo e a cercarne di nuove ed è quindi un inno dedicato ai visionari, che in ogni epoca della storia hanno segnato l’inizio di qualcosa di nuovo. Con questa chiave di lettura il nuovo album e tutte le mostre ad esso collegate si leggono molto facilmente. È un album di denuncia, ed è scritto quindi a chiare lettere. Il problema è sempre nell’ascolto troppo veloce. Quando scrivo e canto “L’occidente ha paura della morte, ma stupidamente provoca chi non ne ha”, non mi pare una metafora complicata. Ci sono autori molto più ermetici. Non voglio certo ridurmi a scrivere cose tipo “Dammi tre parole, sole cuore amore” per arrivare alla gente. C’è già troppa gente in giro,ahimè, che lo fa meglio di me.
Come nel singolo “Post”. Il presente (assente) viene raccontato anche con una certa rassegnazione. Cito: “…Portati un portatile, fingiti difficile e smetti di significare…”. C’è chi invoca alla rivoluzione, tu invece (sarcasticamente) invochi all’omologazione?
Molto sarcasticamente, logico. È una canzone che racconta l’omologazione mascherata dei progetti trendy, finto artistici, quelle cose da vernissage di mostra d’arte contemporanea, di musica minimalista con un portatile e due giocattolini digitali che praticamente non fanno nulla se non assecondare programmi potenti e preconfezionati che lavorano sulla casualità al posto tuo, creando effetti estetici e sonori affascinanti, ma solo scenografici. Oppure falsi dj che fanno playlist preparate a casa e che vanno a “suonarle” ai rave. Ma anche in mille altri settori, “la moda dell’ arte di moda”, che serve solo a rendere più fico l’aperitivo di turno, ma in pratica si riempie di modaioli che non inventano nulla di nuovo, ma si vantano un sacco.
Tanta evoluzione e tanta sperimentazione. Chi sarà domani Ottodix?
Ho un sacco di altre idee che mi vien voglia di raccontarti, ma mi trattengo. L’anno prossimo si svilupperanno grandi cose e non ho affato idea di dove finità questo progetto, che dura ormai da un eternità. Anche e soprattutto grazie a questa voglia di spostarsi, mantenendo tuttavia un proprio stile preciso e, spero, una sua coerenza di fondo.
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