Proseguire in una direzione lascia intendere sacrificio e sconfitta, poi rinascita e poi, si spera, la vittoria. Ma non abbiamo ancora finito. Poi di nuovo c’è ancora tutto da fare, da capo, fino a esaurimento scorte. I Panicles hanno consumato – forse – il loro primo giro di boa in pochi anni, calpestando con successo grandissimi palchi e firmando contratti con le major discografiche. Saranno poi caduti? Forse. O forse è segno di grande maturità nel cercare un nuovo inizio, con un nuovo disco, per non creare niente di nuovo ma qualcosa che sia sincero. Di sicuro non ce lo diranno mai. Restano solo belle parole da fare. Che poi ad ascoltare questo nuovo disco – Simplicity: the universe (extended) – direi che non sono solo belle parole, per fortuna. Ecco le mie consuete chiacchiere, questa volta con il trio veneziano che agli U2 e a quell’Inghilterra indie rock deve davvero molto, forse troppo, forse mai abbastanza, come tutti d’altronde.
THE PANICLES: intervista di Alessandro Riva
Girando parte di questo mondo per fare ascoltare la propria musica viene subito da chiedersi: l’Italia o il resto del mondo? Dove vi siete trovati meglio?
Viviamo nel mondo e al mondo vorremmo far sentire le cose che abbiamo da dire. Ormai è diventata una frase fatta di chi è uscito dai confini, ma all’estero è diverso, la sensazione è quella che il pubblico sia più interessato ad ascoltare qualcosa di nuovo. Nel nostro Paese ci sono tanti dei bei locali dove fare musica e le città stesse offrono degli scenari unici dove farci della musica. Per dirne una, l’estate scorsa, grazie allo staff di “FVG Turismo”, abbiamo avuto il piacere di partecipare al “Collisioni Festival” di Barolo suonando su un palco accerchiato da palazzi storici e le Langhe sullo sfondo, veramente suggestivo. Ci siamo presi delle belle soddisfazioni sia in Italia che fuori ma ora più che mai abbiamo il desiderio far emigrare la nostra musica.
E se la risposta fosse “altrove” allora c’è da chiedersi: perchè questo nuovo disco in Italia? Mancanza di alternative o legami troppo forti?
Amiamo la nostra terra e di base viviamo in Italia, perciò ci sembrava giusto muovere i primi passi da qui. È giusto perseguire i propri sogni e porsi degli obbiettivi, ma è altrettanto giusto pensare con attenzione alle mosse che si fanno e guardare bene dove si mettono i piedi.
Dite che questo disco è come fosse un “ripartire dalla radice”. Lo è anche da un punto di vista discografico o solo competitivo?
Ogni album è a suo modo un ripartire, non sai mai cosa aspettarti dalla musica e dove ti può portare. Lavorare a un disco è un po’ come fare un esame di coscienza, in un certo senso fai il punto della situazione sia dal punto di vista del musicista che personale.
Condivido moltissimo l’idea di realizzare un disco vero. senza troppi artifici e manipolazioni. Anche quello fa parte del “tornare alle origini”?
Sì, senza dubbio rientra in quel processo. Avevamo la volontà di catturare l’energia che c’è ai concerti e racchiuderla in un album in studio senza correre il rischio di snaturare troppo quello che é il nostro sound e possiamo dire di essere soddisfatti del risultato.
Restando sempre su questo argomento: oggi i dischi sono “finti” secondo voi? L’elettronica e i computer hanno dato libero accesso a quest’arte un po’ da tutti: è un bene o un male?
Se un artista è puro ed é in pace con se stesso nel realizzare un’opera non può che venirne fuori un disco “vero”, a prescindere da quello che penserà la gente. La tecnologia ci permette di ottenere risultati eccellenti spendendo poco e questo é molto positivo per chi ha cose da dire e risorse economiche ridotte. Quello che fa la differenza sono sempre le Canzoni e come viene utilizzata la tecnologia perché poi dal vivo potrebbe diventare un arma a doppio taglio che ti si rivolta contro. Puoi utilizzare l’auto tune per correggere le stonature ma se dal vivo non sai cantare o suonare, stai bluffando con te stesso e con chi ti ascolta.
Ash, Muse, U2… sicuramente Beatles. Dall’Italia invece cosa avete preso?
Onestamente tra i nostri ascolti, gli italiani sono in minoranza. Ci piacciono i Subsonica, qualcosa del Teatro Degli Orrori, Verdena ma soprattutto artisti storici tipo Mogol/Battisti, Area, Pfm. Possiamo dire di non sentirci italiani (musicalmente) ma per fortuna o purtroppo lo siamo.
Oggi tutti fanno dischi e tutti si sentono artisti con movimenti giusti del mouse. Voi che iniziate ad avere un trascorso e una gavetta importante alle spalle, cosa risponde a uno scenario simile?
Questa risposta ci ha messo un pochino in difficoltà, dunque ne abbiamo parlato insieme e non siamo sicuri che il fatto che oggi sia più facile per chiunque produrre e registrare musica con un computer sia un problema. Anzi, è una risorsa! Allo stesso modo, chiunque può strimpellare un giro di accordi con la chitarra, ma quello che emergerà alla fine è il talento. Certo oggi la quantità di produzione musicale è enorme, molti artisti registrano le loro canzoni anche solo per un senso di soddisfazione personale, non necessariamente per provare a fare capolino nel “mercato”. Diciamo che se un giovane con una tastiera e un computer dovesse rubare la scena ad artisti più blasonati e con più esperienza alle spalle, probabilmente il merito è del talento, non del mouse. Detto ciò, date le caratteristiche altamente più tecnologiche di quest’epoca rispetto a quelle passate, anche per mantenere vivo il contatto con amici e fan attraverso i social, il mouse finiamo per usarlo un po’ troppo anche noi. Dunque c’è bisogno di cose vere, tornare a incontrarsi, tornare a suonare, ridere, anche arrabbiarsi. Il tutto con la coscienza che gli adorati anni ‘60 dei Beatles e degli Stones non possono (e non devono nemmeno) tornare, è ora di guardare avanti!
“Simplicity”. Citando il titolo del vostro singolo: una bella utopia filosofica assolutamente difficile da raggiungere oppure una comoda via di fuga per giustificare il non sapere evolvere il proprio stato di cose?
Spesso preferiamo vivere in uno status complicato e contorto di cose e situazioni pensando di evolverci, invece basterebbe prendere la vita con più semplicità per far andare le cose per il verso giusto. Semplicità non é lo stare ad aspettare che le cose accadano da sole. La semplicità comporta una ricerca continua. La semplicità è tua figlia che ti dice con tutto l’entusiasmo e la purezza dei bimbi “che bello papà, fuori c’è il sole” mentre stai pensando a cosa succederà domani.
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