C’è l’odore del vecchio e negletto legno dei basement della provincia americana dove questi pezzi potrebbero esser stati concepiti. Andy Gabbard, chitarrista e cantante della rock band di Cincinnati Buffalo Killers per quasi un decennio, inaugura la sua carriera da solista col suo album di debutto Fluff, entusiasticamente distorto e psichedelico. Suoni alt-rock molto simili a certe cavernosità garage-noise anni ’90 (Calamity Jane, primi Buffalo Tom) ma con escursioni – a dirla tutta un po’ azzardate e stucchevoli – verso solarità melodiche (“LYSM”, “Dreams I can’t Remember”) di cui forse il mondo – questo mondo, in cui un dolce ed etereo sopravvissuto come David Crosby non trova più posto da un bel pezzo – non ha proprio un immediato bisogno. È pur vero che neanche il buon J Mascis era sempre esente da certe rilassatezze a volte melense e ridondanti. Forgiato in un’unica sessione di 12 ore durante le quali Gabbard ha suonato tutti gli strumenti, [i]Fluff ha tracce che si legano bene l’una all’altra, urgenti ma non sprovvedute, riuscendo bene nell’evocare l’immaginario fantastico di Syd Barrett (la religiosamente lisergica “Octoman”) e Roky Erickson, anche se l’accostamento allo stile dei Dinosaur Jr. e degli Atomic Bitchwax è automatico. L’album è godibile, con canzoni come “More” che fanno tesoro della lezione Guided by Voices con rinnovata freschezza, “Look not Sound” lassismo e pigrizia subliminati con serenità e dolcissima nostalgia, la sghemba title track da ascoltare seduti sul cornicione al diciannovesimo piano incuranti del traffico isterico e inconsapevole di scimmie evolute e presuntuosissime che si dipana lì sotto. Esce su Alive Naturalsound Records e il contesto con cui è prodotto e suonato è davvero un inno al pensiero indie, di cui dovrebbero fare tesoro molti “posers” nostrani, soprattutto quelli che… “sabato in barca a vela, lunedì al Leoncavallo”. (Riccardo Pro)
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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 18 Marzo 2015