New Vague 15 è il terzo disco in studio del sestetto italo-inglese Lef, uscito il 24 marzo scorso per O’Disc con distribuzione Audioglobe e che segue di due anni il precedente Doppelganger. Nove brani più una ghost track che a livello sonoro proseguono il percorso iniziato con il precedente lavoro, affondando le proprie radici nella new wave e contaminandola con l’elettronica e le sonorità degli anni ‘10. A differenza del precedente Doppelganger però, in cui era stato il cinema espressionista tedesco ad esercitare un forte influsso sulla stesura dei testi, in New Vague 15 sono la “nouvelle vague” e la cinematografia italiana anni ‘50 e ‘60 una fonte di ispirazione primaria per i Lef, a partire dall’utilizzo del bianco e nero in copertina e dal titolo che gioca sulle parole “new wave” e “nouvelle vague”. Si parte con Escape from the City, che rappresenta concettualmente il cordone ombelicale con il precedente lavoro, introdotto dal monologo di Peter Lorre tratto da “M” di Fritz Lang. Con 4 Volte Cento si entra nel vivo delle tematiche dell’album, con la dichiarata citazione a “I 400 colpi” di Francois Truffaut, mentre I can’t save the world without you sposa una melodia diretta ed efficace ad un testo sperimentale nato dal “cut up” e originato dall’idea che per salvare il mondo occorra liberarsi dai filtri del pensiero. New Vague 15, title track e brano centrale del disco, è una dichiarazione d’intenti in cui i Lef attraverso una voce narrante (uno degli elementi tipici della loro discografia) esplorano il leitmotiv del bianco e nero e della cinematografia ‘50/’60, nella descrizione di una città di quegli anni in cui nottate di pioggia salutano giornate prive di sole, ma dove tutto è possibile; dove, a differenza di oggi, c’è speranza nel futuro e la povertà si può vivere con dignità. In 21 grammi si parla di amore, della magia di un incontro in cui ci si arricchisce di “21 grammi in più” (che secondo alcuni racconti e il peso specifico dell’anima), mentre Love is a weapon of mass destruction sottolinea nuovamente gli intenti sonori del sestetto italo-inglese nel contaminare new wave ed elettronica. All’ultimo respiro torna a citare una pellicola simbolo della nouvelle vague: “Fino all’Ultimo Respiro” di Jean-Luc Godart (1960). Sessantanove, dalle atmosfere volutamente retrò, inneggia all’anno della rivoluzione studentesca e di quella sessuale. Si chiude con Lineamenti di Ghiaccio e con la ghost track 11.11, tra echi rispettivamente di Interpol e Doors. Insomma: un lavoro discografico che parte dai colori della new wave e la evolve, strizzando l’occhio a band quali Joy Division, The Sound, Editors, ma anche agli italiani Moda (senza accento) e ai primissimi Litfiba. (Fonte: Libellula Press)
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