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Recensione: John Grant – Grey Tickles, Black Pressure (2015)

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Siamo al terzo album solista di Grant, quarantasette anni statunitense ex The Czars, oggi stabilmente residente in quel paradiso ambientale chiamato Islanda. Grey Tickles, Black Pressure vede la luce dopo i già fortunati e osannati da una certa critica hipster, Queen of Denmark (2010) e Pale Green Ghosts (2013), due album che hanno delineato il carattere di questo
artista controverso, intelligente, conoscitore della musica, amante di Prince e David Bowie e dell’horror di Carpenter. Senza soffermarci sulla vita privata di Grant, diciamo subito che questo album va comprato o andrebbe quantomeno ascoltato per un semplice motivo: John Grant è tra i migliori songwriter in circolazione.

La mescolanza di suoni è ben evidente e il Nostro pare che si diverta. Si diverte a giocare sintetizzando suoni puliti, sospesi nel vuoto ma mai suonati a caso. Il “Minneapolis sound” di cui Prince fu il guru e il riferimento principale viene riesumato in forma 2.0, e il risultato è quasi perfetto. La title track è la canzone più bella del 2015, una ballata gospel meravigliosa con piano e archi concentrati in un suono sublime. Snug Slacks suona molto Bowie e la cosa fa molto piacere. Sintetizzatori estremizzati in un ritmo funk, allegro e fluido. Stesso sound lo ritroviamo in Voodoo Doll e Black Blizzard devote per suoni e tempi a Gary Numan, al synthpop di inizio 80′ e all’elettronica dei Kraftwerk.

Grey Tickles, Black Pressure è la crisi di mezza età che prima o poi tocca a tutti, ma è soprattutto un messaggio musicale ben chiaro: il synth pop e l’elettronica anni 80′ sono ancora riferimenti indissolubili in un pianeta virtuale e artefatto come quello che stiamo vivendo. Ed è per questo che John Grant ne ha fatto, con ironia e nostalgia, un marchio esistenziale. (Giovanni Aragona)


✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 17 Novembre 2015

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