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Recensione: Lello Savonardo – Bit Generation (2015)

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Disco insolito ma decisamente foriero di ispirazione e analisi che, per quanto possibile, la dividerei su due fronti molto evidenti: contenuto letterario e forma musicale. Lello Savonardo è uno studioso da conoscere in campo scientifico e sociologico prima che artistico. Un uomo che ha dedicato vita e pensieri allo studio del parlare tra gli uomini. Poi artista nell’anima e nelle gesta, dai convegni ai libri (quelli di carta). Insomma, uno di quei personaggi davvero egregi e importanti nel sottobosco di ciò che è cultura e vita quotidiana di questa nostra Italia e non solo.

Impossibile se non fuorviante inglobare un commento entro poche righe di recensione. Difficile sentirti su di un livello decoroso perlomeno. Proviamoci: questo disco porta la sua firma e un titolo rubato dalla prima traccia Bit generation che marchia a fuoco tutto il leitmotiv dell’opera. Testualmente parlando il disco è ricco e interessante. Intelligente nel come affronta il tema dei giovani e del loro modo di parlarsi, di relazionarsi. Siamo una generazione di Alway on citando il titolo del secondo brano ma anche una definizione di Derrick de Kerckhove, massimo esperto del settore che con Savonardo firma il succitato brano. Ma poi c’è anche poesia, c’è l’amore, ci sono le metafore a tratti marcatamente popolari in altri più ricercate. Tutti veicoli alternativi per parlare ai giovani e per i giovani, una lingua comune a tante estrazioni di popolo ma tutti ugualmente viventi in questa era della comunicazione in perenne connessione.

Musicalmente, nella sua forma canzone, ci troviamo di fronte un disco di musica leggera italiana che sconfina in un ardimentoso rap digitale piuttosto che in ricordi antichi di didattiche cantautorali. Un disco che non porta con sé una gran forza melodica, non regge per mano ritornelli vincenti o soluzioni accattivanti da hit televisive. Andamenti più o meno soliti e già sentiti a dispetto della ovvia originalità dell’opera. Lello Savonardo dà in pasto alla critica un disco italiano, tutto italiano, per le forme come per i contenuti. I social network e le cause che vediamo evidenti tra la gente di questo bel paese. E per restare sulla scia di questo importantissimo tema voglio citare il maestro Massimo Ranieri: “… e raccogli i cocci di una vita immaginaria”. (Alessandro Riva)

Intervista a Lello Savonardo di Alessandro Riva

Lello Savonardo come cantautore. Contro quale realtà si scontra?
Il mondo della discografia ufficiale è sempre più in crisi di idee e di identità. La Canzonetta Record che produce l’album Bit Generation ha fatto una scelta coraggiosa e di carattere culturale. Il mercato discografico tradizionale è profondamente in crisi ma con lo sviluppo delle tecnologie digitali si stanno aprendo nuovi scenari di promozione e diffusione della musica, tra social media, siti web, app dedicate e radio web. Quindi le opportunità di farsi ascoltare si moltiplicano, questo favorisce la promozione del progetto culturale Bit Generation e forse anche le eventuali vendite del disco. Chiaramente la promozione mainstream, su televisioni e radio nazionali, ha le sue regole e i suoi costi che non sono facilmente accessibili alle produzioni indipendenti. Tuttavia, Bit Generation è un progetto destinato a diffondersi, in forme e ambiti diversi.

Elettronica e suoni acustici. Qual è il vero habitat per il suo essere artista?
Entrambe le dimensioni sonore fanno parte del mio background. Suono il pianoforte da quando avevo 4 anni, a 13 ho imparato a suonare la chitarra e iniziato ad ascoltare i cantautori italiani, come Edoardo Bennato, che è sempre stato per me un punto di riferimento, oltre al rock internazionale degli anni settanta, ma anche formazioni come i Police, gli U2, i Red Hot, o artisti come David Bowie, Beck, Prince o Sting. Non ho mai smesso di ascoltare il jazz, il blues e poi le nuove tendenze, dalla new wave alle posse, dal rock anni Ottanta al rap dei poeti urbani della Bit Generation. La mia musica si nutre di questo background culturale e della contaminazione tra i diversi generi musicali. Poi ogni ospite che ha partecipato alla realizzazione del disco ha portato il suo specifico contributo rendendo l’album un’opera collettiva e condivisa. Non mancano citazioni esplicite di Gaber, Battisti o dei Police e, nell’album, i suoni acustici si sposano perfettamente con l’elettronica.

Una musica che vuol tornare alla gente e interagire con loro come si faceva negli anni ‘70 – ‘80?
La musica è sempre tra la gente. Nutre il nostro immaginario individuale e collettivo, ma talvolta contribuisce anche alla costruzione di una coscienza critica, proponendo temi che fanno riflettere. Bit Generation è un concept album, un progetto culturale che apre un ponte tra generazioni e che oltre a proporre “canzonette”, come direbbe Edoardo Bennato, che firma con me il brano “L’Equilibrista”, intende emozionare ma anche far riflettere su temi sociali e sui mutamenti culturali.

Denuncia o incitazione alla rivoluzione? Sappiamo tutti cosa c’è da denunciare, ma cos’è prioritario rivoluzionare?
Il singolo Bit Generation, come altri brani del disco, tra cui “Spread Emozionale”, racconta il disorientamento, l’incertezza dei giovani, “selfie in cerca di un’identità“, ma anche il loro protagonismo, la loro predisposizione a “scendere in piazza se la gente muore” perché “è una generazione che ha una sua visione, perché la “libertà è partecipazione”, tanto per citare Gaber. La denuncia, il disagio, esistenziale e sociale, sono presenti nell’album, in diverse canzoni, come nel brano “I Nuovi Padroni”, in cui interviene il rapper e dj di Radio Deejay Gianluca Tripla Vitiello, un brano che racconta di “facce pulite e oneste” che hanno “nuove ragioni contro tutte le rivoluzioni” e sono pronti a generare “nuove separazioni”. Bit Generation si propone come progetto culturale, non ha ambizioni rivoluzionarie, ma la cultura incide sulle diverse visioni del mondo.

Ambizioni e obiettivi di questo nuovo lavoro?
L’ambizione è che sia molto più di un album discografico. Bit Generation è un’opera collettiva, che vede la partecipazione di molti artisti ma anche del guru della comunicazione Derrick de Kerckhove, un prodotto cross mediale che va dal libro al disco, passando per seminari, trasmissioni radiofoniche e concerti, insomma un progetto culturale che ha l’obiettivo di divenire virale, sia sul piano delle canzoni proposte che sui contenuti che raccontano il mutamento culturale e sociale.

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