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Recensione: Fuzz – II (2015)

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Ty Segall è per la musica indie di questi ultimi dieci anni ciò che Lou Barlow fu per la musica degli anni Novanta. Uno con le mani in pasta in tante cose. Un album solista ogni anno e, nei ritagli di tempo, cantante, chitarrista, batterista e Dio sa cos’altro per gli Epsilons, i Perverts, i Sic Alps, i Traditional Fools. Quando siede dietro i tamburi per farsi trasportare dalle correnti dei Fuzz, Ty apre il guscio e spurga tutto il suo amore per gli Hawkwind, da sempre il suo modello massimo di virilità rock‘n’roll.

Fatte queste premesse, il secondo disco dei Fuzz contiene già la sua recensione nel nome e nel titolo scelti dalla band. Si tratta semplicemente del secondo atto di teppismo fuzz dopo quello che li vide entrare in scena due anni fa. Un rosario di riff sabbathiani e kyussiani che culminano nel tripudio conclusivo del pezzo che “intitola” il disco cercando di agganciare la nave spaziale del capitano Dave Brock. Un autentico, invalicabile muro di suono che solo per pochissimi istanti (gli intro di Say Hello, Silent Sits the Dust Bowl o Burning Wreath, per esempio) sembra lasciare passare un flebile, polveroso spiffero d’aria. Per chi ha nostalgia della bella stagione stoner, quando piantavi un ombrellone nel deserto e quel posto lì diventava la tua spiaggia caraibica, un disco che va assolutamente messo, anche alfabeticamente parlando, appena dopo quelli dei Fu Manchu. Vi ricordate in quale scaffale li tenete, vero? (Franco Dimauro)


✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 17 Marzo 2016

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