Non sono solito dedicarmi all’ascolto di prodotti così ben orientati al commercio discografico. Ancora meno se, spesso e volentieri, tutto questo sentire vira (o quanto meno sottolinea con forza) radici metropolitane intese come hip hop, ovvero rap, e anacronistiche visioni digitali quantunque timide e lievi. Capitan America (ovvero il produttore e autore Andrea Chiarini) sforna un quarto album dal titolo Supernova lanciato dal singolo Universo, che a breve raggiungerà quota 700.000 visualizzazioni su YouTube.
Un lavoro importante, lungo diciotto tracce di un pop di nuova generazione, quasi completamente figlio di quest’era digitale (almeno penso, credo) in cui la musica è sintetizzata dal gusto degli argonauti e da una perenne quanto ormai spersonalizzazione di chi è dietro a guidare le macchine. Eppure da tutto questo nascono tracce di ricchezza melodica importante, che si inchiodano alla memoria e non la lasciano. Di certo questa “Supernova” non è un disco da cui pretendere certamente spessore letterario e ricerche testuali di chissà quale portata, ma neanche dobbiamo aspettarci di trovarci fronte a un lavoro banale e poco fantasioso dal punto vista compositivo. Anzi, il contrario. Anche perché il nostro Capitan America sa benissimo quali effetti aspettarsi, quali obiettivi inseguire e soprattutto quali frasi e approcci scegliere per rivolgersi al pubblico di oggi e ai musicisti di domani. (Alessandro Riva)
Intervista a Capitan America di Alessandro Riva
Pop, hip hop, rap, elettronica e tutto quello che serve per raggiungere il cosiddetto “target”. Quanto la visione artistica si lascia contaminare da quella commerciale?
Ascolto musica commerciale, scrivo e arrangio i pezzi come se dovessi essere io stesso il fruitore. In poche parole scrivo la musica che mi piace e non ragiono secondo quello che va di moda. In molti mi hanno accusato di essere passato dal rock al “rap” perché di moda. A parte il fatto che non mi interessa il parere dei vari hater di turno, tuttavia credo che la musica sia come una persona, un essere umano, che col tempo cambia e si evolve. La gente critica il sistema ma si sente al sicuro quando può etichettare una cosa. Un grande controsenso, no?
Parlando di produzione scopriamo che il disco nasce per metà nelle Marche e per metà negli Stati Uniti D’America. Come mai e com’è accaduto?
Era per dare un suono internazionale, abbiamo lavorato con Tom Coyne e Jay Franco assieme al mio producer Alessandro Vagnoni. Il risultato dei due pezzi contenuti nel disco: “Come Il presidente” e “La Gente” è stato figo e soprattutto un esperimento riuscito.
A questo punto, visti anche i crediti di produzione, mi viene da chiederti: che nuovo Capitan America ne è venuto fuori?
Sicuramente un Capitan America attento alle nuove tendenze con uno sguardo al futuro.
Tantissime visualizzazioni dietro il tuo singolo. Al di là della bellezza e del merito, secondo te, che dinamiche sociali ci sono dietro la diffusione e il gusto di un video?
A oggi, anche dopo tanti video che ho caricato negli anni, ho aperto il canale YouTube nel 2006, non saprei… Una bella domanda. Quello che posso dire è che il fruitore medio di YouTube ha sempre bisogno di qualcosa di nuovo. Che stimoli la condivisione. Il mio canale negli anni ha totalizzato un totale di oltre un milione di visualizzazioni. Soltanto il video di “Universo” ne ha 700.000… Le view, secondo il mio modesto parere, arrivano quando scrivi qualcosa di universalmente riconoscibile. Penso di esserci riuscito.
Anche Capitan America protagonista di quello che oggi si chiama “InStore Tour”. Nuove forme di live?
Secondo me, sì. Sicuramente è un modo efficace per vendere la musica in maniera diretta. Oggi, a meno che non sei Fabri Fibra, non ha senso mettere un disco nei negozi se non fai attività di punto vendita e live all’interno del negozio. Nel mio caso sta funzionando, e sono felice. Poi, come dici tu, è anche una nuova forma di live.
“Supernova”: un titolo per decantare la rivoluzione?
Più che altro è un modo per dire: “Sono morto e rinato”. Come dopo l’esplosione di una stella. Ne muore una ma ne nascono altre. Insomma, il senso era: “Far morire” una parte di me per dar vita a diciotto pezzi.
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 31 Marzo 2016