È un disco intenso questo nuovo lavoro discografico di Manuel Volpe, giovanissimo ma già con tanta contaminazione nel cuore e nella pelle. Si intitola Albore ed è un’opera magistrale che non teme il confronto né soffre di agorafobia. Non teme dunque il tempo e lo spazio, piuttosto sembra volersene drogare con tutta la calma di chi sa di vincere ogni partita in corso. Albore è un disco di dieci bellissime canzoni di lounge tiepidamente arricchite di un jazz sopraffino che fa capolino tra le righe. C’è l’etnia dei popoli della Madre Terra, ci sono i sapori forse troppo occidentali dei cori Yoruba dei popoli Nigeriani (o almeno così tenta di riprodurre), c’è il digitale, c’è il prestigio dell’artigianato musicale di strumenti veri che si incontrano e dialogano senza mai parlarsi addosso. Voce intima, profonda e che mai annoia o rende soporifero l’ascolto. Ci sono i fiati, ci sono gli archi, ci sono melodie vellutate e morbide. C’è una produzione che paga il peccato del gusto. Un gusto mai italiano. Un gusto a volte troppo “freddo” per appartenere a un popolo e a una tradizione ben precisa e che fa di Albore un disco vivamente consigliato. (Alessandro Riva)
Intervista a Manuel Volpe di Alessandro Riva
Come si finisce dalle Marche ai cori Yoruba Nigeriani?
È un percorso di ricerca iniziato molto tempo fa e che nel tempo ha preso direzioni inaspettate. Di certo mi considero una persona molto curiosa.
Il viaggio che ci invita a fare “Albore” è personale oppure potremmo estenderlo ovunque e a chiunque? In altre parole: “Albore” è un’opera autobiografica oppure no?
Albore tratta della ricerca di sé. Il tema è universale, estendibile a chiunque, ovunque e in ogni tempo, ma il punto di vista proposto è il frutto della mia piccola esperienza, del mio livello di coscienza e di incontri preziosi.
Quanto mondo digitale c’è dietro le quinte del disco?
Se intendi a livello di sorgenti sonore allora zero: ogni strumento è acustico o elettrico, suonato e interpretato da selezionatissimi esemplari di essere umano. Se invece intendi le modalità di produzione allora direi un 33,33%: le riprese sono state fissate digitalmente per poi essere miscelate su banco analogico e nastro magnetico.
Nella scena indie dove impera la “trasgressione” rock, pop e cantautorale, Manuel Volpe che spazio punta a ricavarsi?
Francamente, non ho alcuna ambizione o interesse a riguardo. Non sento di dover dimostrare niente a nessuno, tanto meno a una scena nella quale non credo più. La realtà è che come ascoltatore sono profondamente deluso dal mondo indipendente italiano. Invece di offrire una migliore alternativa alla musica mainstream, negli ultimi anni ne ha assorbito completamente regole, obiettivi e comportamenti.
In tutti i brani ho ritrovato una qualche ciclicità, di suoni più che intenzioni. È così o sono fuori pista?
Hanno certamente una ciclicità interna nei suoni ma, come hai giustamente notato, lo svolgersi delle intenzioni è lineare. Albore è un album al presente. Il protagonista di ogni brano si scopre durante lo scorrere dei brani.
Nel suonarlo dal vivo questo disco ha tutta l’apparenza di essere più grande di quanto, oggi, ci si possa permettere su un palco tradizionale…
Be’, se ci stringiamo (siamo in nove) e se troviamo dei promoter coraggiosi, qualunque palco tradizionale è in grado di contenere questo disco.
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