I Les Jeux Sont Funk vengono da Trento, all’ombra delle Dolomiti e come principio ispiratore hanno il groove, ovvero l’astratta energia che sprigiona il movimento del corpo. Dicono di ispirarsi alle parole dell’enigmatico Visir della Funkologia, secondo il quale la musica “non aspira né alla sicurezza né alla stabilità, bensì alla vertigine, all’estasi; essa tende, a un tempo, alle deviazioni del sogno e alla fertilità della disillusione”.
La band è composta da tre musicisti con un diverso background: Elisa Amistadi, cantante e autrice già nota per varie collaborazioni prestigiose e per aver vinto premi quali Musicultura e Pavanello; Michele Bazzanella, compositore di musica per la danza, DJ e soprattutto bassista dal tocco riconoscibile; Carlo Nardi, produttore, chitarrista, compositore di musiche per video e, per qualche anno, DJ della scena berlinese in locali quali Delicious Doughnuts, Lovelite, Cassiopeia, Privatclub, ZMF, Rosì, e molti altri. La loro collaborazione è di lunga data e vanta, tra le altre cose, esibizioni a Pistoia Blues, Porretta Soul Festival e Berlinale con il gruppo funk Tabasco.
Se si escludono alcuni brani usciti in diversi momenti (“That’s It?!” per una campagna Sisley, “We’ve Got the Groove” per la compilation Funkabbestia curata da DJ Fede e un remix di “Gírias do Norte” dei Sovversamba), Erasing Rock costituisce il primo tentativo della band di fissare in forma organica la loro visione artistica, già collaudata in occasione dei loro live set. L’album, la cui lavorazione ha richiesto vari mesi, riunisce le tre anime della band – acustica, elettronica e digitale – in un percorso che tocca sonorità sixties, la musica dance e, naturalmente, il funk sia nelle sue molteplici manifestazioni che nella sua rinnovata attualità. Inoltre, dalla musica da film “Erasing Rock” riprende una certa libertà nelle strutture, nel rapporto con diversi stili musicali e nelle soluzioni creative in generale.
L’esperienza musicale e l’utilizzo di strumenti analogici e digitali sono quindi funzionali a un progetto in cui per i Les Jeux Sont Funk la tecnologia è messa al servizio del progetto artistico, non viceversa: “Volevamo che un ascoltatore potesse riconoscere ogni dettaglio, ogni singolo strumento, ogni linea ritmica o melodica e che al tempo stesso riuscisse a identificare istantaneamente un sound specifico”. Un sound che è consapevole del passato ma che non vuole apparire necessariamente come nostalgico e che, anzi, pone in primo piano la canzone come riflesso del presente.
Il loro live set – 2 workstations and 1 microphone – rispecchia la volontà di non dare tutto per scontato, accogliendo il rischio come fonte di opportunità per nuove soluzioni creative. A questo fine, i LJSF si affidano solo in parte a basi e campioni, introducendo continuamente elementi di incertezza che consentano di ricomporre nuovamente il groove in tempo reale. Di conseguenza, solo una parte degli eventi è predeterminata, mentre il resto viene affidato all’intuizione e all’improvvisazione ma mai al caso, poiché il funk è qualsiasi suono si possa immaginare, giusto o sbagliato che sia, purché nel tempo e nel posto giusti.
Parafrasando Malcolm X, i LJSF sostengono che “i meriti sono tutti dei maestri a cui ci ispiriamo – Funkadelic, Beck, Zapp, Sly & the Family Stone, James Brown, Daft Punk, Nina Simone, Prince, Fela Kuti, Curtis Mayfield, R.D. Burman, Chic, Pharrell Williams, Herbie Hancock, The Meters, eccetera – mentre gli errori sono solo nostri”. Parafrasando Thelonious Monk, aggiungono, “speriamo di fare sempre gli errori giusti”. (Fonte: Ufficio stampa Sbam)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 14 Aprile 2016