Mojo l’ha definita la regina del noir londinese; NME l’ha ribattezzata “The Untouchable”; Vanity Fair ne ha paragonato lo stile quasi cinematografico a Claudia Cardinale e Anna Magnani; Jimmy Page ha intessuto pubblicamente le lodi del suo talento chitarristico e dell’unicità della sua scrittura.
Oggi Gemma Ray torna con la sua ultima opera: The Exodus Suite, in uscita in Italia il 10 giugno 2016 per Bronze Rat Records, da tempo la sua casa europea condivisa con Jon Spencer e Seasick Steve. Non molto tempo fa Consequence Of Sound affermò che Gemma fosse stata per anni ingiustamente tagliata fuori dal radar del mainstream. Tuttavia la sua peculiarità deriva proprio dalla sua riservata sensibilità underground e dalla raffinatezza di una poeticità in bilico fra l’elitario e l’universale. Caratteristiche queste, che l’hanno portata a condividere un tour con Nick Cave e i Grinderman, e a collaborare con artisti di culto del calibro di Alan Vega dei Suicide e Howe Gelb dei Giant Sand.
The Exodus Suite è una drammatica odissea di 52 minuti fra il pop noir e la psichedelia. L’album è stato registrato in presa diretta nei famigerati Candy Bomber Studios, nel vecchio Tempelhof Airport di Berlino. Alla produzione Ingo Kraus, già al desk di Iggy & The Stooges, Einstürzende Neubauten, Jamie Lidell e Crime & The City Solution. La scelta di registrare live nasce dall’esigenza di catturare un suono naturale, in tutta la bellezza delle sue imperfezioni. Il risultato è scolpito nell’effetto solenne, quasi monumentale e allo stesso tempo semplice e immediato delle canzoni.
Il titolo dell’opera riflette le tematiche politiche e personali delle sue composizioni. Sembra quasi destino infatti che proprio nel capannone al di sotto degli studios, durante le registrazioni, fossero rifugiati 8000 profughi siriani. La cruda realtà delle circostanze dei rifugiati, la loro presenza, i suoni e gli odori hanno avuto una profonda influenza sulla performance e sulla produzione del disco, le cui liriche esplorano numerosi temi: dall’amore universale all’esilio, dall’esodo all’egemonia della natura, dalla tecnologia alle disparità sociali, e soprattutto un profondo bisogno di empatia e di umanità.
A ciò si aggiungono innumerevoli contaminazioni stilistiche, cominciando dalla suite psichedelica introduttiva di Come Caldera e passando per il connubio di afrobeat e krautrock di There Must Be More Than This, dove spicca anche il piano di Carwin Ellis (Edwyn Colins/Zarelli). Seguono brani come il delicato lamento sulla modernità di The Original One, la tetra nenia noir di We Do War, le tinte latineggianti e a tratti surf di Ifs & Buts e l’ode alla vastità della natura con cromature psichedeliche di Hail Animal, fino alla chiusura del cerchio con Shimmering, imperlata di esoterismo. The Exodus Suite è eseguito da Gemma Ray (voce, chitarra, mellotron e organo), Andrew Zammit (batteria, percussioni, organo, synth e chitarra), Fredrik Kinbom (basso, lap steel guitar) e Carwyn Ellis (ospite al piano e al Wurlitzer). (Fonte: Cabin Fever Collective)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 3 Giugno 2016