È Caterina Micci ad autocandidarsi per rendere nella lingua di Dante i dettagli del secondo dei viaggi che hanno spinto Dick Porter a scendere fino “al centro dei Cramps” ed è dunque grazie alla sua ottima traduzione che possiamo oggi gustarci questo diario di bordo che ripercorre ogni passo, artistico più che privato, della vita di Lux Interior e Poison Ivy. L’unica storia d’amore che io conosca ad aver dato come frutto la più lasciva creatura del rock‘n’roll. Forse l’unica che dovreste conoscere anche voi. E sostituirla a quegli orribili meme che ogni tanto sputate sui social, credendovi portatori sani di chissà quale verità o spacciandovi per diffusori virali di chissà quale dubbio.
Lux e Ivy rappresentavano in qualche modo la folgorante bellezza e il raccapriccio del sogno americano. E il riguardoso, nobile, doloroso silenzio in cui la vedova Purkisher si è chiusa dal 2009 ad oggi non fa che confermarne il valore. E Porter, che deve saperlo bene, evita di deturparne il ricordo sorvolando sull’inutile gossip rosa delle loro nozze così come sui particolari da necrofili del funerale di Lux ma mettendo vigorosamente in risalto la passione condivisa per la provocazione sessuale, la cultura trash, i vestiti eccessivi, il rockabilly. L’occhio attento di Porter si guarda bene dall’esprimere giudizi critici su quanto prodotto dalla formazione americana lungo la sua più che trentennale carriera (trattamento riservato anche agli artisti citati a margine della storia) fornendoci invece, attraverso la sua pupilla, la possibilità di osservare la band da vicino durante la sua infinita caccia di dischi, musicisti, case discografiche e concerti. È uno sguardo voyeuristico che ben si addice ai protagonisti del racconto anche se Porter non eccede mai più del dovuto su aggettivi pruriginosi o commenti eccessivi.
Piuttosto l’autore si fa carico di arricchire il testo di doviziosi particolari sulle canzoni e sugli svariati autori e personaggi citati. Non con note a margine ma rendendoli parte integrante del testo. Cosicché avendo fra le mani il libro e sfuggendovi per qualche istante chi fossero gli Electric Eels, i Dead Boys, i Meteors o loschi figuri come Mad Daddy o Ghoulardi non farete la figura di Don Abbondio davanti al nebbioso ricordo di Carneade. E potrete dunque arrendervi al sentimento della fiducia e prolungare la lettura anche a rete spenta, non avendo bisogno del sostegno di Wikipedia per integrare le vostre eventuali deficienze di fosforo. Viaggio al centro dei Cramps è, insomma, un libro nient’affatto sommario o dozzinale. Al contrario, riesce con meticoloso entusiasmo, a ricostruire la bolla culturale dentro cui il progetto Cramps si è generato e le correnti eoliche che l’hanno spinta pericolosamente e tuttavia senza scoppiare, sulle creste del punk newyorkese prima e californiano dopo fino a rimbalzare su ogni angolo del mondo occidentale raccogliendo adepti e ammiratori altrettanto deviati in ogni parte del globo, Italia compresa. Alcuni fra questi vengono coinvolti dalla curatrice dell’edizione italiana per esibire il proprio marchio di Caino sulla nuova versione del libro che a questo punto ha come corredo tutt’altro che supplementare bozzetti, strisce animate, découpage, ricordi e impressioni attinte da una memoria che è collettiva e tribale insieme, vissute e respirate dentro quel posto dove i benpensanti non hanno mai osato entrare e di cui questo libro ci restituisce l’odore. (Franco Dimauro)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 14 Giugno 2016