Jazz da aperitivo. Verde come le olive da intingere nel Martini Dry. Nulla di più. Eppure quella che sembrava essere la più effimera fra le band inglesi ispirate in qualche modo alle fusa del jazz americano è stata, nei fatti, quella sopravvissuta più a lungo, tanto da essere ancora in piena attività, con buona pace dei vari Working Week, Style Council o Everything But The Girl. Tenuti a galla in qualche modo dalle risacche dell’acid jazz e della lounge music, i Matt Bianco continuano a imperversare nei locali dove si simula un evanescente elogio al pre e al dopo cena tra tintinni di flute e coppette da cocktail in un rituale mondano di fancazzismo di classe per gente che non sa distinguere un lounge bar da un american bar. E alla quale, dunque, i Matt Bianco col loro spensierato “latin-gezz” vanno più che bene.
Così come andavano bene all’epoca di questo disco di debutto appena ristampato a quanti si accontentavano di vederli rincorrere il sincrono con la traccia audio durante le esibizioni in playback al Festivalbar o negli altri ritrovi per gli iscritti al club del cuore di panna. Perché un tour vero, un concerto vero all’epoca i Matt Bianco non sapevano neppure cosa fosse. Quasi un paradosso, per una band che decide di uscire fuori dal calderone synthpop di quegli anni per riscoprire il calore del suono acustico e di strumenti veri come contrabbasso, tromba, pianoforte, flauto, organo elettrico e riportali tra la gente. Riuscendoci, in qualche modo e con grande successo, con questo disco d’esordio che mette insieme, anche un po’ a casaccio, improbabili cha cha cha, filigrane bossanova, arredamenti alla Henry Mancini, smooth jazz da salotto, jive saltellanti e i colori carioca che l’amico bassista Kito Poncioni insegna a Mark Reilly a usare con una buona disinvoltura.
Ma la star del disco è ovviamente Basia Trzetrzelewska, cantante polacca che senza eccedere nei virtuosismi riesce a dare un ulteriore tocco di classe al già ammiccante suono della band e il cui volontario allontanamento lascerà i Matt Bianco privi dai guanti di seta che emergono su pezzi come More Than I Can Bear o la title track. La riedizione deluxe propone oltre al disco originale la sterminata (ma all’epoca obbligatoria) pletora di remix e versioni estese, le inedite e grezze versioni demo dei classicissimi e una perfetta replica di Half a Minute targata 2016. Se siete fra gli operosi sportivi del cin-cin e delle serate sugli chalet, qui avrete di che leccarvi le dita. Dopo aver pescato l’oliva dal Martini Dry, ovviamente. E aver sputato l’osso con la classe che vi contraddistingue. (Franco Dimauro)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 6 Luglio 2016