Il progetto Schneider Nur nasce nel 2010 in una cantina della provincia veronese, durante una degustazione di vini. Tra un “prosit” e l’altro, il primo nucleo del complesso decide di porre al centro del progetto la volontà di esprimersi in lingua natia mischiando il cantautorato ’60/’70 italiano con i suoni brillanti di band inglesi come The Smiths. A maggio 2012 esce Finalmente la scena è morta, il primo EP della band registrato e prodotto da Michele Nicoli dei compianti Canadians. A Ottobre 2013 esce il secondo EP, intitolato semplicemente Schneider Nur, registrato sempre da Michele Nicoli e mixato dal sound designer Jacopo Gobber. Sono seguite decine di date in apertura a band del calibro di Intercity, Ex Otago e C+C=Maxigross. Proprio con questi ultimi è nata un’amicizia e una collaborazione artistica che li ha portati a registrare il loro primo vero album nei loro Vaggimal Studios sui Monti Lessini.
Un nuovo maggio è un long playing come se ne facevano una volta, un involontario concept album che ruota attorno a un ventenne alla costante ricerca di una persona da avere accanto e alla sua inadeguatezza nei rapporti con gli altri. Ogni canzone racconta una piccola storia, un’esperienza vissuta sulla propria pelle, che sia con una donna amata o odiata, attraversando tutti i tipi di sentimenti dall’innocenza, la delusione, l’odio e il rancore, fino alla cinica rassegnazione di un amore rasserenante nella sua semplicità. Come vuole la scuola Morrisseyana i toni sono sempre agrodolci e caustici, accostando spesso ad arrangiamenti sofisticati dei testi spigolosi, quando non sono visionarie poesie naif. Il viaggio nei dolori del giovane Schneider comincia con Niente di niente, una malinconica ballata tra suoni elettronici, voci femminili e la viola di Federica Furlani (musicista sperimentale di base a Milano che ha suonato per Le Luci della Centrale Elettrica e Einstürzende Neubauten).
Con Il riflesso sulla teiera si inizia ad accelerare citando il Nick Drake più ritmato di Hazey Jane II con l’ausilio di fiati e assoli di sax tipici degli anni ’70. Tutti vogliono solo il sole è l’episodio più scanzonato, che come il Battisti più solare de La Batteria, Il Contrabbasso, eccetera… sotto forti melodie nascondeva il malessere di sentirsi soli e incompresi. La title track (scelta anche come primo singolo) racchiude in sé il senso di tutto l’album. La solitudine e la costante sensazione di essere sempre fuoriluogo vengono accettati con una matura consapevolezza: il quotidiano con la persona che si ama possono bastare per arrivare felici alla propria vecchiaia. Il tutto accompagnato da groove tribali, percussioni afro, tromboni, Moog e assoli come se fossimo su Anima Latina. Occhi blu su pietra grigia è un’altra ballata decisamente agrodolce. Contemplando il mare tra morbidi Fender Rhodes, effetti tremolo e mandolini la mente ci porta a riflettere sul suicidio, prendendo spunto da un tragico fatto di cronaca cittadina. Finalmente in Un uomo senza importanza (to Morrissey) viene omaggiato il tanto amato Morrissey che come il suo predecessore Oscar Wilde sono un punto fisso nel gusto del decadente che tanto amano gli Schneider Nur. L’andamento waitsiano da nightclub fumoso e i sax dalle tinte blues fanno il resto per aiutarci ad addentrarci in questa solida nebbia.
Gli anni ’80 più electro pop vengono fuori invece in Campus Culture, un’altra dedica a un amore incompreso che giunge fino al reprise per piano, viola e voce di Un nuovo maggio. Con Il mio amore è sempre vivo ci si avvia alla conclusione di questo viaggio sentimentale. Questa volta la persona giusta è stata finalmente trovata. Coretti e cadenze sixties non nascondono quella gioia che è difficile spiegare per non essere banali… “You Have to Love Me Baby” cantano assieme a un po’ di C+C=Maxigross, e non c’è altro da aggiungere. Il sipario sta per calare, la gente è quasi uscita dal teatro e in lontananza dal buio si ode un organo da chiesa avvicinarsi. C’è tempo per un ultima ballata che metta le cose in chiaro. L’amore va colto e assaporato per quello che è, e sulla consapevolezza che ogni cosa ha una scadenza e niente è per sempre La mia versione transitoria chiude questo disco, mentre l’eco di organi e sax ci salutano con delicatezza. Il Teatro della Vita chiude le sue porte e tutti possiamo tornare al nostro semplice quotidiano. Complice il suono caldo e avvolgente della presa diretta (con tanto del classico scoppiettio del camino montanaro che accompagnava le registrazioni) e l’eccellente mastering di Vasari (che vanta un grammy per il lavoro svolto con l’ultimo disco dei Muse) questo sentiero impervio scorre veloce grazie alla forza degli Schneider Nur di raccontare la semplicità e la profondità dei sentimenti come dei romantici d’altri tempi. (Fonte: Vaggimal Dischi)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 27 Settembre 2016