Steve Wynn first night in Latina è come una riunione carbonara, il Circolo Hemingway stracolmo di pubblico e passione, riversa rispetto e venerazione verso quell’uomo sul palco, minuto e apparentemente timido, eppure energico e vibrante, pur se armato di una semplice chitarra acustica. Uno Steve Wynn dylaniato e loureediano fino al midollo, stempera l’arrembante, furiosa e acida psichedelia del suo glorioso passato in un folk scarnificato, tanto semplice ed essenziale, quanto intenso, ipnotico e coinvolgente, a tratti trascinante, come se alle spalle di Steve ci fossero Dennis Duck o la moglie Linda Pitmon e al suo fianco Karl Precoda e Kendra Smith, fedeli depositari del verbo Dream Syndicate, Jason Victor e Eric Van Loo sodali in un passato più recente.
Dopo la brillante e apprezzata apertura di Federico Braschi, bravo ed efficace nel proporre il suo cantautorato ispirato ed evocativo, pronti, via e “I’m going down to the medicine show“, una botta non da poco, siamo subito nel pieno divampare delle fiamme, l’acustica non frena affatto Steve né l’entusiasmo dei presenti. Tell me when it’s Over e Follow Me mitigano leggermente la temperatura, che torna però a salire con The Side I’ll Never Show, gran pezzo in apertura di Ghost Stories. Anche in versione acustica, il repertorio di Steve Wynn mantiene inalterata la sua forte carica espressiva, lui appare molto contento, rilassato e perfettamente calato in questa nuova veste di storyteller.
Under the Weather è cupa e scura, tanto quanto Sweetness and Light e Southern California Line suonano aperte e solari. You’re Halfway There è una bella ballata venata di pop proveniente dall’ultimo disco, Benedikt’s Blues, colonna sonora di una serie televisiva norvegese, il viaggio prosegue poi con Burn, Why e una ipnotica When You Smile. Il finale non può che rinverdire l’epopea del paisley underground, con le agognate Boston, The Days Of Wine and Roses e John Coltrane Stereo Blues, versioni asciutte e adrenaliniche al tempo stesso. Carolyn si unisce alla festa in punta di piedi e con delicatezza, mentre l’ultimissimo bis è una Sunday Morning dei Velvet Underground quasi sussurrata, sospesa, sublime, eterea e sognante. (Giovanni Sottosanti, 11.10.2016)
✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 12 Ottobre 2016