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(Ri)visti in TV: Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick (1957)

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Prima guerra mondiale, fronte franco-tedesco: il generale di corpo d’armata Georges Broulard ordina al generale di divisione Paul Mireau di attaccare il “Formicaio”, postazione tedesca difficilmente espugnabile. Mireau, dopo le iniziali ritrosie, allettato dalla prospettiva di una promozione, accetta l’incarico e affida le operazioni al colonnello Dax. L’attacco si rivela un fallimentare disastro e la maggior parte dei soldati si rifugiano nella trincea. Mireau, indispettito, ordina di aprire il fuoco contro le sue stesse truppe ma il comandante di batteria Rousseau si oppone.

I generali del comando, a questo punto, propongono la fucilazione di tre uomini scelti a caso per ognuna delle tre compagnie: verranno giudicati con regolare processo dal consiglio di guerra e difesi dal colonnello Dax, avvocato nella vita civile. Vengono accusati di codardia il caporale Paris e i due soldati Fèrol e Arnoud: la loro indicazione, però, non è stata casuale ma dettata dalla volontà di punire i loro precedenti comportamenti. La difesa del colonnello Dax non è sufficiente (il processo condotto per conto dell’accusa dal procuratore Saint-Auban, infatti, è poco più d’una formalità) e i tre uomini vengono condannati a morte e giustiziati dopo aver passato, nei momenti precedenti l’esecuzione, attimi di indicibile disperazione.

A fucilazione conclusa Broulard comunica a Mireau che sarà aperta nei suoi confronti un’inchiesta sulle modalità di gestione della terribile vicenda e propone di prenderne il posto come generale a Dax (che nell’estremo tentativo di salvare gli uomini aveva raccontato al comandante in capo ogni particolare dell’operazione). Il colonnello, però, amareggiato, rifiuta e si unisce tristemente ai suoi soldati che ascoltano una cantante tedesca. Stanley Kubrick aveva letto – quand’era ancora un ragazzo – l’unico romanzo scritto nel 1935 da Humphrey Cobb, Sentieri di gloria, ispirato da una storia letta (dall’autore) sul New York Times di cinque soldati francesi giustiziati per ribellione nel 1915.

Il racconto aveva colpito a tal punto il regista americano da scrivere il soggetto per un film la cui sceneggiatura, redatta nella sua originale stesura con l’aiuto di Jim Thompson e, soprattutto, dello scrittore Calder Willingham, sarà successivamente rielaborata dallo stesso Willingham e da Kirk Douglas. L’attore, all’apice della carriera, interessato al progetto (in cui reciterà da protagonista impersonando il colonnello Dax), convinse la United Artists a finanziare Orizzonti di gloria che vede la luce nel 1957 – prodotto dalla Bryna (la casa di produzione di Douglas) e dalla Harris-Kubrick Productios – suscitando reazioni controverse. Messo al bando in Francia (fino al 1974) ed in Svizzera, ritirato dal Festival di Berlino, preclusa la visione all’esercito statunitense, il film, quarto capitolo dei lungometraggi dell’autore, nonostante le ottime recensioni, patì il generale ostracismo distributivo e fu un insuccesso commerciale così come era accaduto, purtroppo, anche per le opere precedenti.

Orizzonti di gloria, invece, a dispetto degli incassi modesti, è un film di notevole impatto visivo e di grande pathos drammaturgico in cui si possono individuare nettamente gli elementi peculiari dello stile di Kubrick: da una parte la verosimiglianza della messa in scena, storicamente realistica, minuziosamente ricostruita, dall’altra l’esasperata raffinatezza linguistica che è al servizio, comunque, della più limpida e diretta espressione narrativa. Ogni inquadratura, infatti, ogni taglio di montaggio rafforza l’autentico (e fin troppo evidente) significato di Orizzonti di gloria: un’accusa feroce al militarismo e agli orrori della guerra. Il memorabile carrello a precedere all’indietro il generale Mireau e il colonnello Dax durante la visita alla trincea (gli spostamenti sono visti con gli occhi dei protagonisti, anticipati nel percorso dalla MDP), il carrello laterale che accompagna i tre condannati lungo un corridoio di soldati dinnanzi al plotone d’esecuzione in una sequenza di sconvolgente impatto emotivo, gli insistiti grandangoli, le angolazioni dal basso che definiscono lo spazio del salone rococò in cui si svolge il processo, l’interminabile avanzata della fanteria (mandata al macello in una morte sicura), ogni mirabile movimento di macchina, dunque, e le stesse “trovate” sonore (il valzer che gli ufficiali ballano mentre i prigionieri digiunano in cella perché sanno che il cibo è drogato) esasperano l’atroce assurdità degli eventi narrati e il “no sense” della vita militare, caratterizzata da una ritualistica incomprensibile e da un carrierismo spietato intriso di falsità e mosso da subdoli intrighi che possono determinare persino spietati delitti.

L’analisi di Kubrick è lucida, ferrea, scevra da pregiudizi e moralismi, ma configura, comunque, una visione dell’umanità nichilista ovvero senza alcuna possibilità di cambiamento. Le vicende belliche rappresentate in Orizzonti di gloria, infatti, costituiscono la metafora di una società dominata dall’egoismo in cui l’organizzazione politica (e militare) ha “soltanto” lo scopo, attraverso la gestione assoluta del potere, di perseguire interessi particolari senza tenere in alcuna considerazione il bene comune, schiacciando senza pietà, al contrario, tutti coloro che invece di aderire a questo sistema di regole cercano di cambiarle (il colonnello Dax) o ne vorrebbero rimanere estranei (Fèrol, Paris). Hanno equivocato, pertanto, quanti hanno visto nell’episodio finale del film un “momento di speranza” (il colonnello e i veterani ascoltano insieme la canzone eseguita da una giovane donna tedesca) o di umana riconciliazione: la composta commozione di Dax è probabilmente solo il semplice moto dell’animo di un idealista che vede la sua carriera rovinata, che non ha potuto salvare i suoi uomini. La sua è una definitiva, amara resa all’inevitabile: il fronte lo attende di nuovo insieme ai suoi soldati, burattini di un potere che non ha e mai avrà alcuna pietà. (Nicola Pice)

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