Innanzitutto devo dire che trovo questo disco come fosse una ventata di aria fresca e pulita in un mare spesso troppo inquinato dal qualunquismo culturale. Di primo impatto credo che non sia tutta farina del sacco di questa giovanissima Alessandra Zuccaro, dato che questo esordio dal titolo Spleenless tradisce un ‘importante maturità compositiva e di arrangiamento. Tuttavia spero di sbagliarmi, anzi ora ne sono quasi convinto, perché questo è un lavoro davvero pregevole e autentico che dal pop raffinato e internazionale arriva a toccare ambienti jazz e passaggi soul per niente scontati e con continui rimandi a certa letteratura.
Alea (nome d’arte della Zuccaro) come cantautrice ci sa proprio fare e questa produzione, che vede la collaborazione di Pasquale Carrieri (pianista e compositore che torna a far vacillare la mia sicurezza circa l’unica origine del tutto) stuzzica un appetito musicale irrefrenabile. Che sia chiaro: ho comprato un disco di Ella Fitzgerald dopo alcuni ascolti di questo Spleenless e non per dare continuità di genere ma perché l’ascolto di questa opera prima mette proprio fame e freschezza di qualità in chi dalla musica pretende spessore e importanza.
La tracklist si apre con un marcato accenno alle liriche di Amy Winehouse prima e Nina Zilli poi (tanto per citare i tempi moderni) e come loro probabilmente tutta la produzione fa cenni marcati a un suono e a un design vintage. Proseguendo resto fermo con un bellissimo noir fatto di sotterranei fumosi, ovviamente americani, e di grandi metropoli per giunta. E che dire invece della successiva Relais? Un brano in cui il cliché viene rispettato a pieno quando, improvvisamente, a darci il benvenuto arrivano i vocalizzi di Alea che sembrano usciti da una pellicola in bianco e nero. Poi ce la bellissima Amore cercato dove c’è una fisarmonica alla Passarella che ci riporta indietro in un tempo di tradizioni popolari che quasi tranciano di netto il filo conduttore di tutta l’opera, in cui il duetto con il padre Giulio “Franco” Zuccaro è qualcosa di assolutamente affascinante.
Il disco riprende la strada maestra e procede come lo avevamo lasciato, tra arrangiamenti da big band, fiati ben studiati e qualche uscita di pista (si fa per dire) con brani scanzonati e allegri come Motivetto o qualcosa che sia più industriale ed europeo (si fa per dire sempre) come Non c’è pace. Tra le nove tracce anche una cover: Miss Celie’s Blues in riferimento al bellissimo film The color Purple vincitore dell’Oscar come miglior musica originale: stiamo parlando del mitico Quincy Jones.
Insomma, Spleenless come esordio direi che ha il pregio di stagliarsi anni luce dalla marmaglia di aspiranti sacerdoti della scrittura, ma si carica sulle spalle la grande responsabilità di tenere così in alto un livello di produzione decisamente raro per un primo lavoro discografico sulla lunga distanza. Un ascolto assolutamente consigliato. Unica “nota stonata” è la copertina dell’album che, a mio avviso, non c’entra niente. Come dire che a quella faccia non avrei dato quella voce. Ma questi sono gusti personali e opinioni poco importanti. (Alessandro Riva)
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