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Recensione: Greg Stackhouse Prevost – Universal Vagrant (2016)

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Identica formazione del Mississippi Murderer di tre anni fa per il nuovo lavoro di Mr. Stackhouse. Analoghi (ovvero eccellenti) i risultati. L’approccio al blues del musicista di Rochester è ancora una volta passionale ma, nonostante la sua natura ruspante, per nulla calligrafico e formale. Greg Prevost raccoglie una zolla di terra del Mississippi e la modella come argilla adattandola ad un repertorio che sconfina fuori dalle aree di stretta pertinenza blues ma che di catrame blues è impregnato. Del resto la storia artistica di Greg non può ignorare personaggi come Arthur Lee, David Johansen, Keith Richards, Johnny Thunders, e altri piccoli e grandi eroi imprescindibili del folk rock, del Motor city sound, del punk americano battezzati anch’essi con le acque del “Giordano” del blues. Cosicché quando Greg lancia la sua tela di ragno, anche loro ne vengono imprigionati.

Lontano dal blues inanimato da birreria Universal Vagrant, pur abusando degli stereotipi del genere (chitarre slide, armonica e giri “convenzionali”), riesce a mantenere viva quell’attitudine rock and roll stradaiola sfoggiata dai Chesterfield Kings di Berlin Wall of Sound, come ben dimostrano un paio di episodi autografi come Hayseed Riot e Shot of Rock & Roll o la cover di Moanin’ the Blues, dall’unico singolo di Allen Shaw registrato nel settembre del 1934 e ad evocare il rock retrò dei sempre poco lodati Black Crowes e dei Primal Scream di Give Out But Don’t Give Up (ascoltare per credere una bellissima per quanto ovvia Lord Shine a Light on Me inzuppata nel caffè macchiato del gospel sudista). In attesa che l’America torni “grande di nuovo” e che ci si prepari a pagarne il prezzo, Universal Vagrant ci ricorda che a farne le spese sono stati sempre quelli che non avevano nulla per cui combattere. (Franco Dimauro)

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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 6 Dicembre 2016

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