Che i Routes fossero diventati negli anni poco più che una “estensione” corporea del loro fondatore Christopher Jack era cosa facilmente intuibile seguendo i mutamenti di line-up di ogni loro disco, non stupisce più di tanto dunque trovare Chris completamente da solo non soltanto sulla (bellissima) copertina, ma pure tra i solchi di questo loro (suo?) quinto album, lasciando all’amico Jonathan Hillhouse il compito di sedersi alla batteria.
In This Perfect Hell esce a pochi mesi dalla ristampa del loro fenomenale debutto di dieci anni fa (Left My Mind, ristampato con l’aggiunta di un inedito per la Dead Beat di Cleveland), disco per cui spesi parole “incendiarie” che riconfermo per questo nuovo lavoro che dimostra forse un’urgenza più contenuta ma non per questo meno esplosiva. La press-sheet che tira fuori nomi come Spacemen 3, Guided by Voices, Fall o addirittura i Can per tratteggiare i perimetri dentro cui ruzzolano queste nuove dieci canzoni in realtà non trova vero riscontro fra i solchi che invece continuano a bruciare ottani di merda garage punk più “bastarda” che “imbastardita” se capite cosa intendo.
Nessun astruso intellettualismo da semantica indie rock appanna In This Perfect Hell anche se un brano come In Years Gone by Master potrebbe infiltrarsi agilmente nella playlist random di quanti nel loro Ipod nano tengono le canzoni di band “trasversali” come Allah-Las o Mystic Braves e non destare nessun sospetto. Salvo poi ritrovarsi dentro la schiuma di acetone di Peeling Face o il raglio di Worry, vicino alle demenze di inni teen-punk come Cry dei Malibus o Searchin’ degli Omens. E se è vero che qui come altrove è già stato detto tutto, un agile tuffo tra i riverberi non può che ritemprarci dal tedio di setacciare l’orizzonte aspettando che questo nuovo secolo ci porti una rivoluzione musicale da ricordare, e che non arriverà se non quando saremo troppo vecchi per poterne godere. (Franco Dimauro)
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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 10 Aprile 2017