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Adriano Tarullo – Storie di presunta normalità, 2017 | Recensione

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Un ascolto che mi arriva dalla terra d’Abruzzo ancora sotto assedio dalla nostra cara Madre Terra. Ed è infatti comprensibile quanto auspicabile trovare tracce e ispirazione di tutto questo nella produzione letteraria e musicale di un cantautore che dall’Abruzzo trae vita quotidiana e ispirazione. Ed è così anche per Adriano Tarullo che ci fa ascoltare questo nuovo lavoro dal titolo Storie di presunta normalità: come a didascalia del titolo, questo lavoro ha 12 tracce inedite, 12 storie, 12 fotografie di tutti i giorni e, tra queste, almeno seguendo il filo logico di questo inizio di recensione, spicca proprio Crollava l’intero paese.

Un titolo forte, fortissimo, anzi determinante. E la tragedia di un terremoto fa da sfondo a una storia d’amore che ovviamente è da tenersi segreta, clandestina, da mettere in fuga gli amanti ma il paese è piccolo e la voce gira. Probabilmente sono gli unici rimandi a una Dolcenera di Faber che, a differenza della presunta storia di Tarullo, quella genovese è una tragedia che ha portato morte e distruzione.

Torniamo però in Abruzzo. Un sound che un poco fa il verso al rock d’autore: mi piace moltissimo la sicurezza dei suoni di batteria e di basso che ovviamente sono parte integrante della nostra cultura pop italiana ma, in questo brano come anche in Un mestiere difficile piuttosto che La mia testa in riva al mare direi che si sente in modo sfacciata la necessità di oltrepassare il classico mood da ballad da cantautore intimo di carne e di ossa.

Per quanto poi la strada maestra tracciata dai vari De Gregori e Fossati torna sempre e forse più di tutti lo rintraccio in brani come Un’ingenua libertà o Io mi sento chitarrista – tra l’altro è il momento in cui, non so dirvi perché, sento un Ivan Graziani che ci raccomanda di avere un occhio di riguardo per il chitarrista. Non so perché, ma è così.

Torna il folk ma non nel senso di genere quanto di significato sociale. Torna il popolo, tornano le tradizioni che si macchiano di Irlanda quando Tarullo ci racconta di Clom Thomas (figlio di Dylan Thomas), si colorano di Africa quando ci parla de La nuora nera (momento del disco che raggiunge il vertice di gusto e di mestiere secondo me con un arrangiamento in crescendo sull’inciso che restituisce a questo tribal funky un sapore assai internazionale), si sporcano di America ferrosa alla Tom Waits quando con Quella strana allergia ai cipressi che non a caso mi rimanda a una nenia da funerale con carri arrugginiti di rigattieri in doppio petto e cilindro rigorosamente impolverati.

Morbidi e rispettosamente poetici i due diamanti pregiati di questo disco: Cenere di stelle che in rete si fregia di un video di animazione e Lei casca dalle nuvole che forse avrebbe potuto restare appena più silenziosa e invece ha cercato bene un riparo vincente in quel ritmo appena appena sostenuto da un disegno di Tom assai gustoso. Bel suono tondo di questi Tom. Ecco che torna la letteratura d’autore italiana classica. Non mi dilungo oltre anche se in tutto questo va detto e sottolineato della chiusa di questa tracklist: un brano strumentale accompagnato da un testo che non figura però nelle registrazioni ma solo nel booklet allegato (anch’esso disegnato a mano come il video di cui sopra).

Di certo Tarullo lo conosciamo anche nelle vesti di musicista chitarrista, ma personalmente la composizione di questo brano strumentale non mi ha convinto particolarmente. Decisamente bella e sincera, va detto certamente, pulita e onesta con se stessa. Ma forse da un brano strumentale avrei preteso una scrittura di livello maggiore, più ricca di dialogo e di vocabolario avendo un vuoto importante lasciato dalla melodia cantata, probabilmente avrei ricercato un design più intenso che una semplice musica che pare stesa li ad asciugare al sole. Insomma, non mi è giunta la forza caratteriale e l’intensità emotiva che invece il resto del disco presenta senza se e senza ma. E poi uno strumentale come questo lo avrei voluto sicuramente più breve di questi suoi 3 minuti circa.

A parte quest’ultimo punto di analisi che lascia il tempo che trova, Storie di presunta normalità non fa il verso e non cerca la similitudine. La scrittura di Tarullo è una scrittura libera da pregiudizi. Cerca la musica, la scrive, la raffina con mestiere artigiano. Insomma è la canzone d’autore italiana, quella vera, quella che ahimè non finirà mai in bocca alle televisioni della grande industria di prodotti in serie, per il “libero” consumo di presunte normalità. (Alessandro Riva)


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