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The Routes – Dirty Needles and Pins, 2017 | Recensione

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Due posti sullo scaffale per i Routes quest’anno. Dirty Needles and Pins esce infatti a soli sette mesi dal precedente, ottimo In This Perfect Hell. E ne rincara la dose. Spalmate su quindici minuti per facciata, le otto tracce del sesto album di Chris Jack mostrano due angolature diverse per avvicinarsi alla sua musica.

Chi volesse sturarsi le orecchie col classico beat-punk può tranquillamente usare le punte per trapano di You’ll See, Ego a Go-Go, I Ain’t Convinced, Somebody’s Child e Dysphoria, classico viaggio a ritroso nel tempo fra i solchi ormai piallati dei vecchi 45 giri di classico pre-punk degli anni Sessanta e delle band che, armate di fuzz e chincaglieria vintage, ne replicarono le gesta un ventennio dopo.

A occupare invece la seconda facciata i tre pezzi più lunghi mai incisi dai Routes, il che vi lascia già intuire che ci troviamo su un universo parallelo dove il suono si sgrana e gli “aghi” si polarizzano su traiettorie psichedeliche di chiara ascendenza texana, pur rimanendo ancora in uno stato embrionale e trasmettendo un vago senso di incompiutezza che non ce le fa preferire alle asciutte garage-song da tre minuti di cui i Routes sono ormai da un decennio tondo tondo maestri assoluti.

Probabile presagio di nuovi approdi in altre terre finora solo lambite, il sesto disco della band anglo/nipponica ci crogiola ancora a fiamma viva, disperdendo le nostre ceneri tra le polveri sottili del cielo giapponese. (Franco Dimauro)


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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 19 Dicembre 2017

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