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Krishna Biswas – Panir, 2017 | Recensione

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Di sicuro quest’ascolto mi mette in difficoltà e non poco. Tempo addietro mi avventurai alla descrizione di un lavoro “analogo” e fu così che conobbi la tecnica del fingerstyle. Da quel momento in poi c’è stata la totale contaminazione verso un quel mondo particolare della chitarrista acustica ma sempre restando in superficie, non avendo basi culturali per comprendere tutto come si deve.

Un grande mondo fatto di artisti spesso ignorati totalmente dalla comunicazione di massa. Oggi la RadiciMusic mi invita all’ascolto di questo Panir, un disco pregiato, raffinato, elegante. Insomma, cultura allo stato puro.

Krishna Biswas che ha origini indio-americane ma vive a Firenze da sempre, prende il suo mondo, quello attorno e quello immaginato, quello conosciuto dai libri e quello vissuto in prima persona. Prende le origini, la cultura in tutte le sue facce, ne prende le ricette di cucina, i colori per raffigurarlo, prende anche la simbologia dei luoghi, dei personaggi.

Prende se stesso e del suo rapportarsi all’arte come esplorazione di sé. Tutto questo in lunghe 15 composizioni inedite. Sono raccolte in 3 suite da 4 brani ciascuno e poi altre 5 composizioni, tra cui il singolo “Respira” che ha al corredo un video che possiamo trovare di seguito e in rete, impreziosito dalla collaborazione dell’artista figurativo Fresnopesciacalli.

La prima suite è rappresentata con il colore verde (personaggi reali e di fantasia), la seconda con il colore rosso (suggestioni e quel difficile rapporto con l’essere artisti) e l’ultima è rappresentata con il colore nero (il sapore, i cibi, le tradizioni, le passioni).

In ogni suite due brani sembrano rammentare, sembrano cucire, sembrano disegnare di fino con un mood intimo e ben governato – e qui si ascolti le sospensioni eteree di Atreyu o l’immagine di Magenta che mi fa pensare a un topolino che scopre il mondo attorno e lo fa muovendosi sulle punte quasi fosse un ladro di notte.

I restanti due brani hanno invece un carattere energetico, di ritmo, di rottura verso un certo linguaggio – e qui per esempio come non pensare a un Calabrone nell’ascolto dell’omonima traccia o all’America dei ritmi rock come in Aloobhat.

La tecnica: sono troppo neofita per raccontarvela. Ma di certo Krishna con una chitarra tiene incollati all’ascolto attento e affamato. Il nostro con la sola chitarra disegna emozioni e probabilmente è proprio l’equilibrio con cui sembrano scivolarci addosso le sue note che ho l’impressione che la tecnica in se sia trasparente e foriera solo di messaggi e non di scena per impressionare il pubblico.

L’invito all’ascolto è deciso e sicuro. Non è con la determinazione di comprendere che si deve sedere di fronte a quest’opera, ma con l’abbandono a se stessi, quel lasciarsi andare all’arte di percepire le sensazioni. Un disco di messaggio e di visioni. E tutto questo con una sola chitarra acustica. Buon viaggio. (Alessandro Riva)


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