Un ascolto prezioso sicuramente. Un lavoro che però giace su un equilibrio assai precario, credo. Lontano dal piatto, quanto ormai omologato, format dell’indie pop che restituisce una vita originale a quel pop elettronico degli anni ’90. Tuttavia il format è geniale da un punto di vista imprenditoriale, forte di elementi quali immediatezza melodica e testi privi di ogni tipo di peso poetico.
Francesco Camin invece è assai lontano da questo quadro pur cavalcando, con qualità direi io, quella stessa onda estetica indie pop che tanto sembra piacere a tutti, ma proprio a tutti. Si intitola Palindromi questo disco assai bucolico e personale in cui la melodia non gioca proprio le sue carte migliori ma resta in quello spazio in cui la qualità va ricercata dopo averla riconosciuta.
Ecco: il disco di Camin chiama l’incontro ma pretende impegno da parte nostra. Non è seduto in vetrina con quel bello sfacciato che tutti comprendono. Richiede cultura, un gusto educato, richiede energia di movimento – cosa peraltro che stiamo dimenticando di avere.
Il pop digitale del cantautore trentino, forte anche di questa timbrica ruvida e sottile allo stesso tempo, sembra ricordarci di primo acchito la forma canzone di Fabi (digitalizzazioni a parte) e si tiene stretto ancorato alle programmazioni che ne fanno struttura e arrangiamento. E poi, se da una parte cerca la comunicazione con il pubblico attraverso il bello, dall’altra sembra comunque stare sulle sue con queste liriche per niente scontate, anzi assai ricche di intimissime e personalissime chiavi di lettura.
Parole e testi ricchi di immagini, una lirica che costruisce sensazioni più che significati. Quello di Camin spesso è sfogo privato per dirsi cose importanti, per conoscersi un poco di più, per fare una disamina che altrimenti passerebbe inosservata; ed è forse questo l’approccio più costruttivo con cui immergersi nell’ascolto di questi 8 inediti.
Brani come Abisso o Tasche o la bellissima Dovrei sono inni alla conoscenza di se, sono inviti alla verità. Manca probabilmente il brano che identifica un concetto di bello che sia più popolare, manca ancora una canzone che sia da traino, anche se l’apertura con Tartarughe (guarda il video ufficiale) è il brano deputato a far da bandiera.
Che bello poi questo modo di immaginarsi un mondo in cui è il mondo stesso a tornare dominatore. Che l’uomo torni ad essere semplicemente uomo. Palindromi è un disco da ascoltare e non da lasciare in sottofondo. (Alessandro Riva)
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