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Katia Pesti – Abyss, 2018 | Recensione

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Prepariamoci a un ascolto esperienziale di forte impatto emotivo. Eppure il dialogo che arriva da queste 13 tracce inedite è complesso e per niente popolare. Eppure credo che a chiudere gli occhi e a farsi rapire dai suoni in comunione, si assiste alla reazione del proprio sentire. Come incipit direi che è assai ispirata perché è impossibile non lasciarsi – appunto – ispirare dal nuovo disco di Katia Pesti.

Compositrice e pianista toscana ma anche, mi si permetterà di dire, ricercatrice e trasgressiva del suono, quello popolare, quel gitano, quello africano, quello spirituale. E infatti a parte qualche momento di solo piano, Abyss si arricchisce anche di brani in cui il pianoforte è stato preparato appoggiando e mescolando tra le sue corde percussioni e sonagli di vario tipo. Oppure proprio l’uso di strumenti come rejang balinesi e bendir hanno dato il supporto e la forza per far divenire questo lavoro un motivo per interrompere il tempo che corre e cavarci da dentro l’abisso il proprio personalissimo modo di vivere e di ascoltare.

La tracklist si apre con il singolo (se così possiamo chiamarlo in questi casi) dal titolo Humanity is Divergent di cui in rete troviamo anche il video ufficiale. E poi subito la successiva Fingerprint che vede la featuring di Gabin Debire, a parte una breve intro di sonagli, descrive una meravigliosa melodia malinconica con questa voce di straordinario effetto visivo.

E poi si passa proprio alla title track e il suono evade dal popolare per trasferirsi nella chimica psichedelica della Pesti. Una lunga suite di 10 minuti in cui il piano è discepolo e padrone della trasgressione estetico letteraria. Così come la successiva Rolling Bones in cui la voce di Elaine Trigiani sussurra con arroganza qualcosa che in fondo non importa capire.

E così a discendere negli “abissi” di questo ascolto, dalla nuovamente titolata Fingerprint questa volta solo strumentale dal suono speciale, alle ossessive stravaganze della rapidissima Rips passando per una melodia ariosa, tinta di interrogativi ma pur sempre umanamente accogliente di Moon Stone.

Insomma, Abyss è un disco difficile senza alcun dubbio ma in ogni caso parliamo di un’opera che non ha la presunzione di rivelarsi come guida piuttosto quanto la necessità di rivelarsi come presenza. Katia Pesti ha solo dato luce e suono al suo pensiero più recondito. Noi lo si prende e se ne ruba un poco e poi se ne usa un altro poco per vederci qualcosa di quello che abbiamo dentro. Un bellissimo disco. Buon ascolto. (Alessandro Riva)


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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 11 Luglio 2018

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