Questa prova discografica edita dal cantautore e musicista Andrea Giraudo sfrega con le unghie contro la parete e fa quel rumore che tanto odio. Ma procura poi anche sollievo. In altre parole, questo disco dal titolo Stare bene mi suona in bilico tra il ben fatto e l’ironico vestito di poco conto. E ho bisogno di più ascolti per orientarmi e capirlo.
Di sicuro dentro queste 12 tracce inedite regna alto il profilo musicale, alto il mestiere e altrettanto alta la qualità compositiva e di esecuzione. Il pianoforte di Giraudo e tutte le sue declinazioni impreziosiscono il suono e il mood di quella sensazione di stabilità e di padronanza che spesso manca quando gli artisti, in nome di chissà quale innovazione, si cimentano con situazioni poco congeniali.
Però ad esempio il primo brano A chi resterà dal forte carico poetico: è una canzone che strappa la risata di dolcezza o la serietà di analisi? Un po’ quello che accade con la grande scuola milanese e in particolare con Jannacci. Canzoni potenti ma dall’impatto appena smorzato, forse banalmente alterate nell’estetica che invece ormai ci ha abituati alla perfezione.
Così scivolano i brani di Giraudo che al cantato aggiunge inevitabilmente quella componente espressiva, quasi teatrale, elemento che torna anche nel canzoniere lombardo come dicevo e che restituisce al disco un valore aggiunto decisamente importante quanto delicato.
Rock’n’roll nelle sue discendenze pianistiche, il soul nero di grandi scuole, quelle soluzioni corali da “gospel” che devono esserci se il taglio è come quello di Cuore amico, brani di apertura del disco e dove troviamo anche il battito di mani al posto del colpo di rullante…
in perfetto cliché oserei direi. E poi la Provenza o l’Argentina di milonghe e le fisarmoniche e i valzer come nella dolcissima Dieci anni che assieme a La clessidra un poco mi riporta alle canzoni burlesque di Alessio Lega – soprattutto grazie al timbro e al gioco vocale.
Il disco si chiude con il singolo di lancio di cui troviamo in rete il video ufficiale: La guarigione. Ecco forse il momento di più Rock’n’roll di questo disco.
Quindi facendo a gomitate tra il circo di Capossela e gli atteggiamenti apolidi di uno chansonnier di altre epoche, Andrea Giraudo porta a casa un disco che narra e circonda lo stare bene come concetto in una musica che forse è troppo fragile e povera di quei riferimenti di gusto a cui siamo abituati ma è altresì preziosa nelle tante soluzioni di arrangiamento e di estetica in cui non solo si rifugia ma da cui fa sfoggio di assoluta personalità.
Un disco difficile se ci si approccia con quel fare di chi alla musica richiede solo puro intrattenimento. (Alessandro Riva)
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