Inexorable è il titolo del nuovo album di inediti di Giulio Casale pubblicato lo scorso 11 gennaio 2019 dall’etichetta veronese Vrec con Audioglobe. Figura poliedrica del panorama artistico contemporaneo, Casale, in oltre 25 anni di carriera, ha calcato i palchi d’Italia come frontman degli Estra, ha vissuto la sua carriera solista (leggi qui) come cantautore alternando alla musica una fervente attività teatrale in spettacoli dedicati a Gaber, ma non solo, non mancando di cimentarsi con la scrittura di libri e poesie.
Inexorable è il suo quarto album da solista che arriva dopo Sullo Zero, In fondo al blu e Dalla parte del Torto. Abbiamo approfittato dell’uscita di questo nuovo lavoro discografico per fare due chiacchiere con l’artista trevigiano. Buona lettura. (La redazione)
Intervista a Giulio Casale di Lorenzo D’Antoni
Benvenuto ai microfoni virtuali di Musicletter. Ascoltando il tuo disco si intuisce subito che Giulio Casale appartiene a una scena musicale totalmente opposta a quella che ogni giorno ci viene propinata. Ti va di riassumerci la tua storia?
Io vengo dal rock. Con la mia band Estra abbiamo fatto parte della scena degli anni ’90. Poi dal 2004 ho cominciato a calcare i palchi dei teatri, mescolando prosa e canzoni, anche i miei dischi da solista han finito per sonorizzare spettacoli più che concerti. Ho scritto anche dei libri, poesie, racconti… Ora con questo nuovo album mi riapproprio di una dimensione solo musicale, viscerale, quasi da band. Torno al mio primo amore, che è la canzone, ma proprio perché sento di avere qualcosa da dire: non solo a livello poetico, è la ricerca sonora a sedurmi, è interpretare il tempo presente, è ipotizzare un futuro… è tutto questo insieme, se no me ne starei zitto, come ho già fatto spesso. Scrivo tantissimo, tutti i giorni, e poi pubblico poco…
“Inexorable” è un disco molto raffinato a tratti roccioso ma fondamentalmente un disco di classe per “pochi”. Com’è stata la tua nuova esperienza in studio?
Beh, spero non per pochissimi (ride, ndr). Questa cosa della complessità mi sta molto a cuore. Non puoi essere facile, non devi, secondo me. È la semplicità semmai che va perseguita, e a me queste sembrano ancora canzoni semplici, solo con dentro molti piani di lettura, molti strati e stratificazioni… In studio abbiamo lavorato proprio su questa profondità: c’è l’elettronica a lavorare sotto e sopra una vera band elettrica che suona dal vivo. Niente chitarre acustiche… Diversi mesi di lavoro per arrivare a un punto di equilibrio dove il tutto possa risultare accessibile ma senza tradire la complessità. La complessità è il dato umano, l’immediatezza viceversa parla di brutalità. E il fatto che oggi trionfi (la brutalità) dovrebbe farci molto riflettere, e poi agire in direzione opposta. Voglio dire tra l’altro che forma e sostanza dovrebbero coincidere sempre. Uno va in studio per creare un mondo, non solo per registrare un’ideuzza, o un’improvvisazione…
“Scolorando Bice” è uno dei pezzi più belli del disco a mio parere, puoi raccontarci com’è nato il brano e cosa ti ha ispirato?
Era in effetti la scommessa più alta: cantare ciò che già troppe canzoni e canzonette cantano di continuo, la perdita di un amore. È stato piuttosto misterioso il processo che mi ha portato a concepire una struttura così ampia (4 movimenti armonici differenti, nessun ritornello) e così veloce nel suo svolgimento. Tre minuti e qualcosa, tanto ritmo, tanto batticuore. L’ispirazione è antica: anni ’80, la new wawe, il post-punk, quella bellezza scura, poi non mi fermo mica lì, m’interessa molto più il presente che il passato, però mi ricordo, mi ricordo tutto…
Siamo (eravamo, ndr) in pieno clima sanremese e nelle interviste che facciamo in questo periodo almeno una domanda ricade su questa “sfilata” musicale. Ti piacerebbe partecipare magari un giorno? O ne prendi totalmente le distanze?
Ma sai credo di poter dire che lo snobismo non mi è mai appartenuto, non ho pregiudizi, e credo che la bellezza possa arrivare inaspettata da dovunque e da chiunque. Ma ho detto già molti “No” nel mio percorso, per evitarmi imbarazzi e soprattutto contraddizioni laceranti. O meglio: dico sempre “Sì” ma ad altro. Si può scegliere altro, non per forza quello che conviene, di più.
Ma se dovessi scegliere l’artista con cui duettare? Chi sceglieresti?
Emidio Clementi
Secondo te è più difficile adesso emergere e quindi suonare anche dal vivo, rispetto a vent’anni fa? Cosa trovi di diverso (se c’è)?
Pare tutto più difficile, specie da quando La Rete dà l’illusione di poter esserci. Ci è piaciuta tanto questa cosa dei numeri, ma è il vero fottimento, per tutti, e invece siamo tutti lì, a sperare di far numeri. È assurdo, semplicemente assurdo. E odioso è vedere che giovani bravissimi musicisti non avranno spazio solo perché non avranno avuto i numeri…
Quali saranno i tuoi piani nel prossimo futuro?
Non ho strategie. Ho solo una ricerca da continuare, da approfondire sempre. Comunque musica e teatro rimangono gli ambiti privilegiati, poi anche la letteratura sta tornando: intendo come mia necessità, non sto parlando di opportunità…
Grazie per il tuo tempo trascorso virtualmente insieme a noi, ti chiediamo di chiudere l’intervista ringraziando chiunque tu voglia!
Ringrazio te, voi, per l’invito, per il dialogo, per la pazienza (ride, ndr).
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