Eccomi a raccontare un disco che sta in bilico tra quello che chiede e mette in scena una canzone d’autore e quello che invece viene richiesto alla canzone pop rock da radio, soprattutto in ambito internazionale. Lui è Fabrizio Squillace, in arte Fab, cantautore rock calabrese che da sempre ha sposato l’inglese come lingua madre per le sue scritture – e un poco questo si sente, con una pronuncia non pulitissima che penalizza forse l’estetica del tutto.
Il disco in questione dal titolo Maps for Moon Lovers è la sua seconda pubblicazione e custodisce 8 inediti che provengono dalla cultura rock inglese, quella mainstream, quella degli U2 tanto per capirci (anche se qui siamo già in campo irlandese a dir la verità). Ma i suoni sono tutti rigorosamente attenti a questa linea artistica e non a caso il master è opera del magistrale Abbey Road Studio. Per quanto il nostro si spinga a restituire uno sfogo attraverso le sue canzoni, il mood generale è assai intimo e per certi versi etereo con momenti davvero interessanti e psichedelici come la bellissima The Same Floor con questi incisi corali e questo tappeto di chitarre distorte.
Devo dire che la dinamica del disco è assai contenuta e controllata ed è forse questo il gioco forza di un lavoro che si rende molto industriale e compatto, dal carattere appunto metropolitano. Sono parole, queste, che ho visto ricorrere spesso nelle tante analisi che sono state rivolte all’opera di Fab e io sottolineo anche una forse esuberanza e onnipresenza di quei bellissimi arrangiamenti di arpeggi e note di chitarra che come pennellate istintive appaiono a impreziosire i brani – e qui il rimando ai Radiohead mi è automatico. Si staglia appena dal tutto Shoreditch Girls in cui l’elettronica diviene protagonista nella struttura portante del brano.
Probabilmente ci avrei visto bene un Fender Rhodes o quantomeno è possibile che l’intento sia stato quello nel cercare un suono particolare. E citando l’ultimo brano dal titolo Sleep, forse il momento più pop on the road del disco, avrei evitato una intro ormai abusata e antica come quella di un suono da radiolina che si evolve poi in suono del disco.
Maps for Moon Lovers in definitiva lo considero un bel disco italiano e internazionale, ricco di pathos e di emozioni in cui – e qui arriva il cantautore che è in lui a richiedere spazio – Fab non si è limitato alla ricerca estetica delle liriche ma ha preteso dai testi messaggi importanti a discapito (forse) di una più fruibile musicalità delle parole. Scelta che secondo me impreziosisce e caratterizza di suo il lavoro più che renderlo ostico. (Alessandro Riva)
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