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Sei stato e sarai sempre il nostro supereroe. Buon viaggio, Daniel Johnston.

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Il 10 settembre 2019, all’età di 58 anni, si è spento a Waller, Texas, per un infarto il nostro unico, vero supereroe: Daniel Johnston. A fermarsi purtroppo è stato il suo cuore, ma non certamente la sua arte, così imprevedibilmente poetica e illuminante, che – finché ci sarà possibile – non smetteremo mai di ricordare anche attraverso queste pagine.

Sì, perché – al di là della sua malattia mentale – ciò che ci ha sempre intrigato di Daniel Johnston è stata la sua estrema facilità nel saper comporre delle splendide melodie. Motivi casalinghi, spesso raffazzonati e cantati in maniera bislacca, ma così eternamente commoventi e trascinanti da suscitare l’interesse di formazioni e musicisti come Sonic Youth, M. Ward, R.E.M., Kurt Cobain e Yo La Tengo (solo per citarne alcuni).

Johnston era un artista vero, noncurante del tempo, dell’immagine e del mondo che lo circondava. Un personaggio talmente straordinario da destare l’ammirazione di chi ogni giorno cercava di fare proprio quel concetto universale chiamato “Arte”.

Nato nel 1961 a Sacramento, California, ma cresciuto nel Texas con un’educazione familiare all’insegna delle Sacre Scritture e una personale formazione culturale incentrata su Fab Four, Capitan America e film e fumetti horror, Daniel Johnston fin da ragazzo ha manifestato la sua “complessità intellettiva” e il suo fervore artistico attraverso il disegno e la musica.

Ha vissuto la vita a casa dei genitori, perlomeno finché ha potuto, passando gran parte del tempo da solo, immerso nelle sue indomabili fantasie animate dagli amici demoni, in compagnia soltanto di una matita e una chitarra acustica.

Gli esordi risalgono ai primi anni Ottanta, e non sono altro che registrazioni domestiche ed estemporanee, basate essenzialmente su voce/chitarra/tastiere, le cui testimonianze possono essere rintracciate su un’interminabile quanto bizzarra produzione che inizia nel 1981 con Songs Of Pain e prosegue poi con Don’t Be Scared (1982), The What Of Whom (1983), More Songs Of Pain (1983), Yip/Jump Music (1983) e tante altre ancora che non stiamo qui a elencare.

Una lunga serie di incisioni che evidenziano la propensione melodica di un uomo pieno di incubi e malinconie ma con l’animo puro di un bambino capace, attraverso le sue canzoni a bassa fedeltà, di rasentare un umorismo torvo ma anche di innamorarsi, benché il suo amore non venga corrisposto (si ascolti Laurie da Artistic Vice del 1991).

Un percorso artistico che ha incontrato il sostegno di tanti amici come, per esempio, gli Okkervil River, Jad Fair (con il quale ha dato alle stampe It’s Spooky nel 1989 e The Lucky Sperms: Somewhat Humorous nel 2001), Jack Medicine (The Electric Ghosts, 2006) ma soprattutto Mark Linkous (alias Sparklehorse) – sicuramente da lassù staranno già pianificando un nuovo disco – che ha prodotto e arrangiato Fear Yourself (2003), una meraviglia di album che dona alle composizioni di Johnston una maggiore definizione sonora, senza perdere tuttavia quell’aspetto naturale e immediato che ha sempre contraddistinto lo stile musicale del nostro cantautore preferito. Un disco così dannatamente emozionante che ha schiuso una “seconda vita” all’eccentrico songwriter americano, dopo il tentativo di suicidio avvenuto sul finire degli anni Novanta (bella e commovente, tra l’altro, è la foto dell’ultima di copertina che lo ritrae addormentato su una poltrona).

Una rinascita, quella di Fear Yourself, che lo ha fatto balzare agli onori della cronaca “underground” e che lo ha condotto alla realizzazione di molte altre interessanti produzioni: Freak Brain (2005), Lost and Found (2006), The Angel and Daniel Johnston, un live uscito su dvd nel 2008, fino ad arrivare a Is And Always Was (2009), Beam Me Up! (2010) e Space Ducks (2012). Tutti dischi che ci hanno confermato l’estro e la sregolatezza di un uomo fuori dal comune alla maniera di Syd Barrett o Brian Wilson.

Un artista folle e geniale di cui già sentiamo la mancanza. Buon viaggio, supereroe. (La redazione)

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