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Sestomarelli – Fra l’amore e il rumore, 2019 | Recensione | Streaming

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Dieci nuovi brani per il collettivo dei Sestomarelli che tornano con un lavoro all’insegna di tre grandi direttive popolari: il folk, il country e la musica irlandese. Si intitola Fra l’amore e il rumore questo cofanetto di scritture che portano in scena con un dizionario di suoni che si ripete un po’ ovunque durante l’ascolto, tra chitarre e archi e quel certo modo di gestire la sezione di drumming proprio di un sapore country che inevitabilmente rimanda a quei Modena City Ramblers e a quel certo gusto di cantare storie alla piazza popolare.

Insomma quel tipico mood che vedremmo ben vestire messaggi di rivoluzione sociale e di schieramenti di politica rossa. Tuttavia i Sestomarelli non toccano simili tematiche ma anzi ci regalano storie di ben altra natura dove spiccano alcune rivisitazioni di tradizionali della scena folk-rock mondiale come I ragazzi di Villa Inferno che è una squisita chiave di lettura della celebre Boys from the Country Hell dei Pogues.

L’ispirazione di questi inediti della banda (condotta principalmente dalle penne di Alessandro Aliprandi e Roberto Carminati), ci regala belle sensazioni di viaggio rischiando però di rendere troppo omogenee e ripetitive le soluzioni di arrangiamento usando quasi sempre le stesse voci sonore e quasi sempre nello stesso modo. Su tutte però va detto che spiccano brani come Urgente da una intro decisamente rock anche se nello sviluppo torna ad accogliere un compromesso con le direttive di cui sopra.

E se Punti di vista richiama fortemente quel certo Faber di Andrea è anche vero che, in 10 brani di gustosissimo folk combattivo, mi sarei aspettato un brano decisamente dolce e silenzioso. Atmosfere che in parte vengono celebrate dalla preghiera laica Un padre disse al figlio di bellissima sensibilità. Altra nota dolente per quanto mi riguarda è la produzione. La voce spesso scollata non mi dispiace andando a richiamare le abitudini un po’ indie e un po’ punk (per i nostalgici) oltre che a rivisitare forse volutamente quelle tinte di un giovanissimo Bennato sessantottino.

Ma è l’amalgama di tutto il sound che non approda a risultati convincenti soprattutto nei registri di maggiore dinamica, momenti in cui che temo mi venga meno l’attenzione per i dettagli e l’intelligibilità delle singole voci. Avrei preferito una maggiore cura anche se questo sound assai “acustico” e istintivo ha dalla sua la bellezza dell’istinto e della casualità. In fondo non mi dispiace neanche questo. (Alessandro Riva)

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