Un lavoro che mescola sapientemente elettronica, blues, soul, dub, rap, acid jazz, ritmi tropicali e piccole dosi di psichedelia in un crescendo di suggestioni sonore, dove la voce dell'allora sessantaquattrenne musicista di Chicago rapisce letteralmente l'anima.
Non è da tutti iniziare la carriera artistica nella prima metà degli anni Sessanta, debuttare con un disco come The New Folk Sound of Terry Callier, dare alle stampe diversi album di qualità (tra cui What Colour is Love), sparire dalle scene musicali agli inizi degli anni ’80 per dedicarsi all’insegnamento dell’informatica all’Università di Chicago e poi tornare rigenerato, nella seconda metà degli anni ’90, con lo stesso entusiasmo e la stessa passione degli esordi che lo portano fino a questo favoloso e ultimo Hidden Conversations datato 2009.
Non è da tutti insomma, ma di sicuro lo è stato per Terry Callier (1945-2012) che, in barba all’età e ai trend di un’industria discografica allo sbando, nel 2009 conferma la sua naturale e raffinata evoluzione soul-jazz attraverso un album di “conversazioni nascoste” estremamente magnetiche e dagli impianti trip hop (non è un caso infatti che al disco partecipino i Massive Attack di Robert Del Naja)
Un lavoro che mescola sapientemente elettronica, blues, soul, dub, rap, acid jazz, ritmi tropicali e piccole dosi di psichedelia in un crescendo di suggestioni sonore, dove la voce dell’allora sessantaquattrenne musicista di Chicago rapisce letteralmente l’anima.
Una piccola meraviglia che si colloca sicuramente tra le migliori produzioni discografiche degli anni Zero, e probabilmente anche di Terry Callier: un artista che ha saputo sempre rinnovarsi, regalandoci emozioni uniche e inconfondibili, senza perdere tuttavia quello smalto soul, folk e jazz, ma soprattutto quella profondità espressiva alla maniera di altri grandi personaggi come, per esempio, Curtis Mayfield (1942-1999) e Aaron Neville. (Celestino Rossi)
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