Nell'ottobre del 2000 Don Marco Rapelli ebbe la possibilità di incontrare e intervistare il Maestro Giusto Pio (1926-2017). Il risultato di quella lunga e interessantissima chiacchierata, che fa il paio con quella rilasciata sempre dal compositore al nostro blog nel settembre del 2011, è ora disponibile in esclusiva su Musicletter.it. L'incontro avvenne a Castelfranco Veneto nell'abitazione del celebre musicista italiano. Mettetevi comodi e... buona lettura.
Ventuno anni fa coronai un piccolo “sogno”, come leggerete sotto: incontrare e conoscere Giusto Pio. Furono numerosi gli incontri con lui e con sua moglie, a Castelfranco Veneto.
Ricordo la disponibilità inattesa con la quale, insieme a due miei cari amici, ci ricevette la prima volta e, successivamente, la grande familiarità e confidenza che si venne a creare tra di noi, al punto che mai esitò a rispondere alle numerose domande e curiosità di questi inopportuni fans che ogni tanto, la domenica pomeriggio, si presentavano a casa sua. Perché, in quel periodo, Giusto Pio “lavorava” ancora con la stessa passione dei tempi in cui le sue produzioni scalavano le classifiche, ed era lieto (e noi onorati) di eseguirle in diretta per noi nella stanza dove componeva.
Gli incontri, normalmente, terminavano con l’ottima cena che la sua amata moglie ci preparava, raccomandandosi che stessimo attenti alla nebbia che avremmo incontrato sulla strada del ritorno. La prima volta (a quei tempi non c’erano ancora i navigatori), ci diede appuntamento nel centro di Castelfranco e venne a prenderci per portarci a casa sua precedendo la nostra auto con la sua mitica Graziella (la bicicletta).
Era un fiume in piena quando parlava, felice nel raccontare il passato, ma proteso sempre nel presente con lo sguardo rivolto al futuro. Con la scusa di trovarsi di fronte a un prete, furono molte le conversazioni legate a tematiche spirituali, le stesse di cui erano intrise tutti i suoi ultimi lavori. La sua fede cristiana lo portava anche a parlare della morte con molta serenità. Purtroppo, negli ultimi anni della sua vita terrena, le occasioni per incontrarci diminuirono, ma le telefonate anche solo per farci gli auguri non mancarono mai. E sono certo che anche il momento supremo della sua morte lo abbia vissuto con la medesima fede e con quel sorriso sornione che aveva quando suonava il suo violino.
Ora sono molto felice che venga data la possibilità di ripubblicare in esclusiva su questo blog (Musicletter.it) l’intervista che gli feci nel 2000 e che inaugurò il sito internet, il primo dedicato a Giusto Pio, che avevamo creato in quegli anni su Digiland.
Intervista a Giusto Pio di Don Marco Rapelli / Castelfranco Veneto (TV), ottobre 2000
Dopo quasi vent’anni, in una ancora calda domenica pomeriggio di fine settembre, riesco a coronare un piccolo “sogno” coltivato da quando facevo le scuole superiori. Erano i primi anni ottanta, quando impazzavano i Duran Duran e gli Spandau Ballet, ma nelle classifiche italiane spopolavano i dischi di Franco Battiato, e quelli prodotti e scritti da lui per Alice e Giuni Russo. Il nome di Battiato, a quei tempi, era sempre accompagnato da quello di un “certo” Giusto Pio, violinista bravissimo che non solo suonava in tutti questi dischi e nei tour di Battiato, ma firmava anche la musica di tutte queste straordinarie canzoni di successo. Avevo comprato anche due suoi dischi (entrati anch’essi nelle hit-parade), “Legione straniera” e “Restoration”, oltre ad un particolarissimo 45 giri firmato Pio, ma cantato da Battiato e dal titolo “Auto-motion”. I giornali parlavano spesso di Giusto Pio, poi pian piano, negli anni seguenti, finito il sodalizio con Battiato, di Giusto Pio purtroppo non si seppe quasi più nulla, fino a quando il suo nome ricomparve in occasione della rappresentazione della “Missa populi” durante un’Estate catanese. Con questo non è che in quegli anni Giusto Pio avesse smesso di comporre, ma essendosi dedicato a scrivere musica non più molto “leggera” (a parte l’album “Note”), purtroppo sappiamo bene come un certo genere faccia fatica a scalare le classifiche, e dunque con quale difficoltà anche io ero riuscito in quegli anni a reperire i suoi lavori. Capite a questo punto perché dico che ho coronato un piccolo “sogno” riuscendo ad incontrare, a casa sua, il Maestro Giusto Pio, scoprendo una persona gentilissima, ospitale, un perfetto anti-divo (nonostante la sua incredibile e luminosa carriera artistica), disposto a raccontare e a raccontarsi ad un inopportuno sconosciuto.
GLI ESORDI
Leggo nella biografia del sito di Battiato: “Violinista classico di livello nazionale, ha vissuto una quarantennale carriera professionale che lo ha portato a vivere le più disparate esperienze musicali. Diplomatosi a Venezia con L. Ferro, ultimo violinista della grande “scuola veneziana”, ha studiato composizione alla scuola di Malipiero”. E ancora: “vincitore del concorso internazionale di Ginevra, di Santa Cecilia etc…”
Sì, o meglio, a Ginevra secondo premio. Primo premio non assegnato.
“Ha suonato un repertorio cameristico, solistico, sinfonico ed operistico che spazia dal Medioevo alla musica contemporanea attraverso il Barocco con una discografia che vanta decine di titoli”. Non si trovano più questi dischi?
Credo che ormai siano tutti fuori catalogo.
Suonando poi diversi strumenti oltre al violino.
Sì, perché facevo parte del complesso “Symposium Musicum di Milano” con il quale svolsi un’intensa attività concertistica. In questo complesso suonavo la viella, la ribeca e la lira da braccio. Si eseguiva musica medievale e rinascimentale e va detto che a quei tempi eravamo solo noi ad eseguire musica di questo tipo.
E avete fatto delle incisioni con questo complesso?
No, non abbiamo mai inciso dischi di questo genere.
(Peccato!) In una delle sue biografie che ho letto su un libro, si dice che lei è stato anche “Concertino dei primi violini dell’orchestra della RAI” e violino nell’orchestra della Scala.
Ho suonato anche alla Scala, ma non ero titolare. Ero titolare presso l’orchestra sinfonica della Rai di Milano. Del resto non si poteva stare in due posti contemporaneamente!
GLI INIZI DELLA COLLABORAZIONE CON BATTIATO
E dunque, mi dica: ma chi gliel’ha fatto fare, nel 1978, di abbandonare questa luminosa carriera per fare “Juke Box” con Battiato?
È stato molto facile e molto naturale. Io allora facevo solo un certo tipo di musica; con Battiato ho avuto la possibilità di allargare la mia conoscenza. Pensi che a casa mia la musica leggera non la volevo proprio sentire. I miei figli ascoltavano le canzoni, ma quando c’ero io, smettevano. Un giorno il mio amico Antonio Ballista mi chiese se potevo impartire lezioni di violino ad un musicista “molto promettente” di nome Battiato. Gli impegni di lavoro a quei tempi erano molto numerosi e il tempo libero a disposizione molto poco. Fu mia figlia a convincermi ad accettare, perché lei conosceva la sua musica. Erano i tempi di “Sulle corde di Aries” che, pur non essendo un disco di musica leggera, veniva trasmesso nei canali della musica leggera lo stesso. Credo che questo disco, allora, abbia venduto circa 20.000 copie. E così Battiato cominciò a venire a prendere lezioni di violino a casa mia, a Milano. Dopo un po’ di tempo abbiamo scoperto che avevamo modi di “pensare la musica” abbastanza simili. Forse è questo il motivo che ci ha consentito di iniziare una collaborazione, proprio con “Juke box”. In quel disco io avevo organizzato l’orchestra, mentre la direzione era affidata a Roberto Cacciapaglia. Io, inoltre, ho suonato il violino in due brani.
Prima di dedicarvi alla musica leggera, Battiato continuò il suo grande lavoro di ricerca musicale, vincendo anche il premio Stockhausen con “L’Egitto prima delle sabbie”, e lei incise il bellissimo “Motore immobile”…
Battiato mi portò a casa due tastiere, e così cominciai a scrivere “Motore immobile” che poi incisi con Michele Fedrigotti.
Che doveva essere giovanissimo, allora…
Sì, era proprio un ragazzo, e aveva una fisionomia precisa alla mia quando avevo 17-18 anni. Ho delle foto in cui sembro Fedrigotti. Invece adesso mi scambiano per Enzo Biagi!
A quei tempi Battiato andava in giro a fare improvvisazioni insieme a Juri Camisasca e mi proposero di unirmi a loro.
Caspita, che bel “terzetto”…
Franco al pianoforte, io al violino e Juri cantava. Tutte improvvisazioni…
…che immagino non siano mai state incise…
Infatti… in seguito, solo con Battiato, andammo anche a Palermo, al Punto Rosso, che allora era uno di quei locali cosiddetti alternativi: non c’erano neanche le sedie e il pubblico era seduto per terra. Al mattino capitava che alla radio trasmettessero qualcosa di queste nostre improvvisazioni. In fondo sono rimasto affezionato a questo periodo e a questa musica, così spontanea e genuina, con la quale riuscivamo ad ottenere sonorità molto interessanti e all’avanguardia.
Battiato, dunque, smise presto di suonare il violino. Non è stato un bravo allievo?
Ha fatto miracoli, invece! Non è facile cominciare a suonare uno strumento come il violino se non si comincia da piccoli. In alcuni concerti, comunque, suonava anche lui il violino, improvvisando con me.
Dopo vi siete dedicati alla musica leggera…
Il primo brano che abbiamo realizzato, praticamente in casa, si chiamava “Adieu”, con un testo in francese, che pubblicò la WEA. Nel disco Battiato cantava e io suonavo il violino, ma siccome Battiato non voleva comparire, si firmò con lo pseudonimo Kui e il nome del cantante che comparve sul 45 giri fu “Astra”. La cosa curiosa fu che quando si dovette promuovere il disco, tenuto conto che nel frattempo io ero occupato con l’orchestra sinfonica della Rai, in TV andava… mio figlio Stefano, che fingeva di cantare e suonare il violino. Attualmente mio figlio suona la viola presso “La Fenice” di Venezia. Parecchi anni dopo questo brano è diventato “Una storia inventata” per Milva. Quando poi Battiato decise che per promuovere la propria produzione bisognava sostenerla in prima persona, siamo partiti con “L’Era del Cinghiale Bianco”.
Prima del “Cinghiale”, però, avevate scritto gli arrangiamenti per “Polli di allevamento” di Giorgio Gaber…
Sì, perché Franco era amico di Gaber. E’ stato il primo nostro lavoro di arrangiamento.
IL MOTORE IMMOBILE
Lei però, nel frattempo, come si diceva, aveva pubblicato il suo primo disco: “Motore immobile”.
Un altro genere. Recentemente è stato ripubblicato su CD, mentre il disco in vinile attualmente è quotato più di un milione di lire. Non per altro, ma perché è un disco raro, e perché ne sono state vendute pochissime copie…
Motore immobile è un’idea per esprimere la fissità musicale di tutto il pezzo o anche l’idea di Dio che ha in mente Giusto Pio?
Possiamo immaginare una grande ruota che gira. In mezzo a questa ruota c’è un punto, in centro, un punto che non ha dimensioni. Pertanto tutto gira, ma il punto resta immobile. Immaginare cos’è Dio? Il mio cervellino sicuramente non può. Secondo me è una grave presunzione anche solo paragonare Dio a quello che noi possiamo immaginare.
Lei è cattolico?
Sì
Come coniuga allora quello che sta dicendo col fatto che questo “Motore immobile”, 2000 anni fa, si incarna e diventa un uomo?
Io mi riferisco all’essenza di Dio, che resta comunque incalcolabile, inimmaginabile.
Dunque, il Credo della sua più recente “Missa Populi” è il suo credo?
Sì, e l’ho fatto dire non da una persona, ma da una moltitudine che lo urla a tutti. L’ho fatto con questo spirito.
Ha mai parlato di questi argomenti con Battiato?
No
Mi sembra che lui sia su altre frequenze d’onda.
Sicuramente, comunque non saprei spiegarle la “spiritualità di Battiato”: a mala pena so spiegarle la mia!
Leggo però su un libro (M.Micale, Centro di gravità permanente, Ed. Bastoni 1994): “Giusto Pio, figura così importante ed essenziale per il discorso spirituale e artistico di Battiato”…
(risata) No, no.
Ancora da quel libro: “Se grazie a Battiato Giusto Pio ha scoperto il fascino del pop…”
Sì, questo sì. Questo è vero.
“.. è grazie a Pio che Battiato ha raffinato nella sua vocazione artistica e spirituale le istanze classiche, giungendo così alle due opere (Genesi e Gilgamesh), la cui rigorosa e ferma impostazione dice come pienamente assimilato il messaggio di Giusto Pio…” Di più: “Giusto Pio vero alter ego maschile di Battiato”. “Giusto Pio, il violinista che qualcuno ha definito la coscienza di Franco”. Invece, da quanto lei ha appena detto, sono notevoli le diversità con Battiato, a livello del sentire spirituale.
Esagerazioni!!! “Spiritualmente” Battiato non aveva certamente bisogno di me. Certo, dal punto di vista artistico ho dato un contributo utile, questo sarei stupido a non dirlo. Ma tutti utili, nessuno indispensabile, su questo mondo. Mia mamma diceva sempre così. Sicché, ho lavorato tanto, ma che io sia stato proprio indispensabile per la sua arte è ridicolo.
IL FAVOLOSO SODALIZIO: DAL CINGHIALE AL CAMMELLO
In riferimento all’aspetto artistico, c’è una cosa che interessa a parecchi. Molti ascoltatori di Battiato sono molto legati alla collaborazione artistica dell’accoppiata Battiato-Pio, nella composizione dei dischi. Sono più affezionati al vecchio Battiato che a quello di adesso… Lei, nei dischi di Battiato, dal Cinghiale al Cammello, compare come arrangiatore, o direttore d’orchestra, o violinista, o coautore delle musiche. Le sonorità e la ritmica che hanno reso inconfondibile lo “stile Battiato” in realtà sono opera di Giusto Pio, visto come è cambiato in seguito lo stile di Battiato?
Ma no, sono di tutti e due insieme, ognuno ha dato il suo contributo. Lui ci avrà messo il 99% e io ci avrò messo l’1: ognuno ci ha messo il suo.
Come avveniva la stesura di una canzone?
Non c’era un metodo, a volte le canzoni nascevano casualmente. Ad esempio una volta eravamo in macchina, durante un tour. Passando per Poggibonsi mi ricordai di una canzone del tempo di guerra sull’aria di “Amapola”. Il testo diceva: “Poggibonsi è stata evacuata…”. E Battiato aggiunse: “e Gerusalemme liberata”, e così è nata una canzone per Milva. Per quel disco avevo preso tutti gli appunti in macchina, durante la tournée. Tornati a casa siamo andati direttamente in sala d’incisione.
Prendiamo “L’Era del Cinghiale Bianco”, per esempio, di cui c’è anche un video ambientato in Turchia: l’introduzione della canzone faceva parte di un altro provino che avevamo fatto in casa e che successivamente è stato inserito nella canzone.
“Alexander Platz”: prima era stata scritta per Alfredo Cohen e si chiamava “Valery”!
Le musiche delle canzoni di quegli anni di chi sono?
Di tutti e due. Naturalmente se io avevo un’idea, Battiato ne aveva 10.000! Era un vulcano!
E di tutto questo repertorio vastissimo, c’è qualche canzone, o una in particolare cui è legato affettivamente?
No, sono tutte uguali.
E c’è qualcosa che lei non avrebbe mai voluto scrivere, ripensandoci?
No. Lavoravamo con il massimo impegno. Non sono canzoni buttate lì, questo è poco, ma sicuro. Anche Battiato adesso lavora con una serietà e un impegno incredibili. Non come certi cialtroni che vanno in sala d’incisione senza idee e si affidano agli strumentisti, facendo uscire dischi nati dal caso. Battiato va in sala d’incisione con le idee chiare, preparato, preciso.
A lei non capita più di riascoltare queste vecchie canzoni?
No, sono preso dalle cose che scrivo adesso. Anche la mia “Alla corte di Nefertiti” saranno 8 anni che non la sento più!
Concentrato e divertito e intanto sornione e ironico quando suona: un’impressione di molti. Vera?
È la mia faccia. Il direttore d’orchestra Franco Caracciolo, che è stato il primo a dirmelo, mi disse che sembrava quasi che così facendo io stessi prendendo in giro la gente per il mio modo di sorridere. Ma purtroppo è la mia faccia! Ero concentrato e insieme mi divertivo, senza alcuna intenzione di prendere in giro nessuno.
LE ALTRE COLLABORAZIONI
Parliamo delle vostre collaborazioni con Alice, con Giuni Russo, con Milva… Dovendo descrivere queste grandi interpreti, cosa direbbe di ciascuna?
Sono diverse tra loro, ma sono tutte bravissime. Purtroppo, per avere successo, bisogna anche sapersi gestire: non basta che uno sia bravo a far musica, deve essere anche bravo a proporla e fortunato a trovare chi la sa vendere, promuovere e tenere buoni rapporti col pubblico.
Milva, per esempio, è una che ha sempre saputo gestirsi bene. Lei, però, non scrive musica, è un’interprete, e di grande serietà.
Alice: ha ascoltato le cose che sta cantando ultimamente?
Si, ho sentito anche la canzone di Sanremo, scritta da Juri Camisasca.
C’è un disco di Giuni Russo firmato da lei e Battiato…
Metà brani, perché l’altra metà sono di Giuni e di Maria Antonietta Sisini. Un brano è di Mino Di Martino.
Sibilla
Ah, Sibilla, bravissima anche lei!
Cosa successe quella volta a Sanremo…?
Stonò in modo allucinante! Io e Battiato non potevamo andare a Sanremo, non avevamo tempo perché eravamo in sala d’incisione. Allora la accompagnò il produttore. Lei fu presa dal panico e per aiutarla, invece di mandarle la base sopra cui lei doveva cantare, le mandarono il brano intero. Lei doveva solo far finta di cantare. Invece cantò lo stesso e si sentì ancora di più la stonatura. Quando la sentii in televisione la sera a casa mia, mi misi a ridere. Fu un disastro. Un disastro! Peccato, perché era bravissima, e la canzone ha venduto 30.000 copie nonostante tutto! Poi, dopo “Oppio” e “Svegliami” fece un altro paio di canzoni, “Plaisir d’amour” e “Sex-appeal to Europe”, sempre cantando molto bene, ma ormai la casa discografica l’aveva scaricata.
Di Camisasca cosa dice?
È molto bravo, Juri. Spero ottenga più successo prima o poi, perché meriterebbe molto di più. Ha una voce splendida e compone pezzi molto belli.
LEGIONE STRANIERA, RESTORATION E NOTE
È affezionato a questi dischi?
Non affezionatissimo… più a “Legione straniera”, però. Il tema era di Filippo Destrieri. “Restoration”, invece, non è musica nostra, è di Fauré. Abbiamo riarrangiato la sua “Pavane” aggiungendo elementi diversi. Ricordo di aver depositato alla SIAE la partitura di Fauré e la nostra che aveva segnate in rosso tutte le parti nuove rispetto all’originale, affinché potessero valutare quanti ventiquattresimi di diritti d’autore assegnarci. Comunque in quel periodo mi sono divertito, mi è piaciuto lavorare, ho guadagnato anche dei soldi, ma tutto fu fatto con serietà, e sempre solo con Battiato. Ci sono state tante cose molto positive.
Ai tempi de “La voce del Padrone” cominciavo sempre io i concerti con “Giardino Segreto” (che è un’aria di Bach), poi “Ostinato” (che è stato anche sigla della trasmissione “Sereno Variabile”), infine “Legione Straniera”. Quindi cominciava il concerto di Battiato. Facevo come da supporter.
Non sono dischi che ricordano un po’ lo stile del Rondò Veneziano?
No, Rondò Veneziano è barocco, è musica barocca. Reverberi era molto bravo, ma scriveva musiche sullo stile di Vivaldi, e lo faceva con molto gusto.
“Note”…
E’ stato il mio ultimo disco di musica leggera e contiene due brani che in qualche modo anticipano la musica che ho cominciato a scrivere dopo.
È più facile scrivere musica leggera o musica cosiddetta “classica” o “colta”?
Direi che si fa più fatica a scrivere musica leggera, perché in pochi minuti devi dire tutto e farci stare dentro tutto. Ci sono dei musicisti di cosiddetta musica colta che non sono capaci di fare una canzone.
E lei riesce a seguirla la musica di oggi?
Molto poco, quasi niente. Non perché non sia interessato, ma perché non ho tempo, dal momento che in questi ultimi anni, e anche adesso, ho scritto e sto scrivendo parecchia musica, di un altro genere. Vede, uno deve avere tempo per seguire tutte le evoluzioni della musica leggera. Comunque, accanto a brani molto interessanti, ce ne sono altri di pessima fattura.
ARIA DI UN TEMPO
Al di là dell’impegno e della serietà con cui lavoravate, vi sarete certamente divertiti a scrivere alcune canzoni! Penso a quelle di Giuni Russo, da “Un’estate al mare” a “Una vipera sarò”; penso a “Cocco fresco cocco bello” per Ombretta Colli…
Sì, ci siamo divertiti molto, anche perché tutto è stato fatto con molta passione! Ogni tanto capitava anche che si improvvisasse… penso al finale di violino de “Il sole di Austerlitz”, con Giuni Russo che prende la nota finale, un “SI” acuto, e poi scende…
Ma penso anche alle idee che a Battiato e a me erano venute inserendo il Coro dei Madrigalisti di Milano in alcuni incisi di certe canzoni: mettere un coro in un certo senso “classico” nella musica leggera non era un’operazione comune.
Oppure “Il vento caldo dell’estate” per Alice. Pensi che i musicisti tedeschi che dovevano eseguire il brano erano molto perplessi perché io e Battiato avevamo pensato la struttura della canzone in un modo alquanto originale e fuori dagli schemi comuni, e cioè fermando la ritmica durante l’inciso, aggiungendovi accordi d’organo.
Beh, insomma, sono stati davvero bei tempi! Ed è bello sapere che tante di queste canzoni sono state per molte persone come “colonne sonore” della loro vita.
Quindi ricorda con nostalgia quegli anni…
No. Nostalgia è una parola sbagliata. Anche dalla RAI me ne andai dopo tanti anni e tante soddisfazioni, ma senza nessuna nostalgia. Bellissimi ricordi, questo si!
E quindi è impossibile riuscire a vederla di nuovo..
Sono andato a Sanremo due anni fa, così, per divertimento!
In quell’occasione quando abbiamo visto Giusto Pio dirigere l’orchestra che accompagnava l’esibizione di Battiato abbiamo detto: è tornato!
No, ho quasi 75 anni… sarebbe patetico!
Quindi, come mai ha smesso di collaborare con Battiato?
Primo perché sono diventato troppo vecchio; secondo perché non volevo essere una palla al piede e terzo perché volevo lasciare un buon ricordo.
ATTRAVERSO I CIELI O UTOPIE?
Mi spieghi se questi sono due dischi o lo stesso disco con due titoli diversi…
Sono lo stesso disco. Uno per la EMI e l’altro per la DDD: “Attraverso i Cieli” è diventato “Utopie”. “Alla Corte di Nefertiti” è stato il primo lavoro che ho fatto dopo che avevo smesso di scrivere musica leggera. Ripresi a scrivere nel modo che mi era più congeniale. “Attraverso i cieli” lo scrissi quando ci furono le vicende di piazza Tienammen, pensando proprio a quei tragici fatti. Però non mi sembrava giusto speculare sulla strage, e non mi sono sentito di titolarlo “Tienammen 1989”.
Come mai lo ha intitolato così?
È stato Battiato ad inventare il titolo. Ha grande acume e facilità nell’inventare i titoli. Il brano inizia con una folla che scende in piazza e urla. Il tutto dopo viene soffocato, e da qui si dipanano una serie di situazioni che nascono una dall’altra: di spiritualità, di gioia, di pensieri, di desideri, di allegria… Ci sono dei colori interessanti e ogni tanto si inseriscono elementi nuovi: paesaggi, situazioni psicologiche diverse tra loro. In alcune parti del brano si sviluppano atmosfere quasi di preghiera, liturgiche, adatte per la meditazione; in altre si raccontano situazioni di lavoro, anche un po’ eroiche, con cori, voci e un recitativo che ricorda la situazione reale di una persona che dopo aver visto la strage di piazza Tienammen è dovuto andar via, tutto solo, con i suoi pensieri e le sue cose: un uomo che ha dovuto abbandonare i suoi sogni.
Gli altri brani dell’album?
Dunque, sul primo lato c’è “Attraverso i cieli”, nel secondo ci sono due brani. Il primo dura sei minuti e si chiama “Où est donc?”. Ho ripreso una poesia di Masi Simonetti, un pittore del Cadore che ha vissuto lungamente a Parigi. Ha scritto una poesia dedicata a sua madre che è morta quando lui aveva tre mesi: “Où est donc ta mère?”, cioè: “Dov’è tua mamma? “Elle est habillé de terre”: “è vestita di terra”. Io ho estratto dalla poesia quattro versi: “Fra tre giorni partirò anch’io e tu resterai solo nella notte”.
Il secondo brano?
“Dietro la maschera”. Tutti i personaggi dei dipinti di Simonetti avevano la maschera, ma chi guarda non sa cosa si nasconde dietro la maschera. Ha rappresentato anche un funerale, con una processione di uomini tutti con la maschera che seguono il feretro. Sembrano dei diavoli! Ho creato questo brano traendo spunto dal quadro: ho campionato una piccola frase della Messa da Requiem di Verdi, l’ho rovesciata e quindi eseguita un’ottava sotto, ottenendo un colore musicale particolarissimo, come una voce corale densa, che si contorce in modo confuso. A mia moglie fa impressione!!
Per il mio funerale mi accontenterei di “Pasqua Etiope”
Ah, “Pasqua Etiope”, da “L’Era del cinghiale bianco”! E’ un brano molto bello, eseguito con un oboe che quando andammo nella nostra prima tournée non potevamo suonare. Siccome avevamo pochi brani, dovevamo eseguire tutto il repertorio che avevamo a disposizione. Per “Pasqua Etiope” mandavamo un nastro e noi, nel buio, muovevamo delle pile generando così piccoli effetti luminosi. Non avevamo grandi mezzi: questi erano i nostri “effetti speciali”!
NEW AGE
“Attraverso i cieli” è stato definito come “una specie di itinerario musicale lungo traiettorie celesti e cosmiche, alla ricerca di risposte ai nostri perché, il tutto costellato di felici ed affascinanti incontri”. Risponde al vero questa appassionata recensione?
Chi non sa come è nato in effetti può parlarne così. Ma è giusto che ognuno legga la musica dal suo punto di vista. Io esprimo il mio, ma una volta pubblicata, tutti possono interpretarla alla propria maniera.
È possibile un itinerario alla ricerca di risposte ai nostri perché attraverso la musica?
Per me è il modo più giusto, perché riesce ad entrare in quello che la persona è veramente. Le parole hanno un significato solo e ben preciso e quindi potrebbero non andare bene per tutte le persone; al contrario i suoni possono essere interpretati in un modo o nell’altro, perché hanno una vastità enorme di significati.
Il filone della cosiddetta New Age segue questo discorso?
La New Age è un filone molto ampio. Al suo interno ci sono tanti filoni, tante mentalità, tante culture, ci sono professionalità che non hanno niente da dire, e tanti che avrebbero tanto da dire, ma che non hanno i mezzi per farlo. Sicché la New Age è un pentolone enorme che comprende un po’ di tutto. Alcuni considerano New Age i miei ultimi lavori, ma a me non importa se vengono catalogati in un modo o in un altro. Io provo gusto nel fare le cose che faccio, soprattutto in riferimento alla ricerca sonora. Tutto il resto non mi interessa granché.
E c’è qualcosa che le piace in particolare della musica New Age?
Da tanti anni dico che ogni tanto nella pubblicità, anche per soli 10-15 secondi, ci sono delle sonorità di una bellezza enorme, come se fossero dei veri temi. Il fatto è che dopo bisognerebbe svilupparli! C’è un modo di fare musica anche senza melodia. Nella mia Messa, per esempio, non ci sono temi, melodie, ma solo sonorità, colori.
È difficile catalogare la Missa Populi come New Age.
Però ci sono sonorità che la ricordano.
Dovendo fare un raffronto mi sembra che “Alla corte di Nefertiti” sia molto più in stile New Age.
Sì, ma “Alla corte di Nefertiti” è solo elettronica. Invece la Missa ho dovuto realizzarla elettronicamente per spendere meno. In realtà la partitura originale nasce con flauti, archi, corni, trombe, tromboni e strumenti acustici.
GENTE AL LAVORO
Com’è la musica che scrive adesso?
Mah, in realtà sia la Messa sia quello che sto facendo adesso risponde ad un unico mio modo di pensare il suono. L’anno scorso ho scritto “Sensori della memoria” per una mostra fatta a Padova da uno scultore trevigiano, Romano Abate. È bravissimo, fa delle meravigliose opere in legno di grandi dimensioni. Mi spedì una lettera in cui raccontava la storia di una mamma che aveva tre figli, che per un motivo o per l’altro erano morti e voleva che rappresentassi il dolore della madre. Allora ho scritto un brano realizzato con mezzi elettronici, dove si alternano momenti di speranza e momenti di dolore. Quando Battiato lo ha ascoltato, ha detto che secondo lui avrebbe meritato d’essere fatto con un’orchestra vera, perché facendole con l’elettronica certe cose non rendono! I violini, per esempio, non possono rendere come quando sono suonati dal vivo, perché ogni centimetro di arco ha una sonorità diversa che non puoi ricreare con l’elettronica, dove purtroppo hai solo quel colore fisso.
Non ha mai pubblicato questo lavoro?
No.
E le musiche composte per specifichi eventi, come mostre o performance teatrali, sono state pubblicate?
Qualcosa si. Ad esempio è appena stato pubblicato un mio CD allegato al catalogo di una recente mostra di pittura dal titolo “Le vie dell’Oro”, fatta in una villa vicino a Castelfranco. Ci sono 13 brani senza titolo, e anche un brano che ho chiamato “A.d.a.m, ubi es?”, che vuol dire “Anima dell’anima mia”, un gioco di parole per esprimere la ricerca dell’anima.
E lei non è interessato a far pubblicare queste musiche così da essere messe in commercio?
Sì, si potrebbe anche farlo, ma non è facile trovare la casa discografica disposta a scommettere su questo tipo di musica. Le grosse case discografiche, se non vendono almeno 100.000 dischi non pubblicano più niente.
Quindi anche sotto questo punto di vista Battiato stesso non può far niente?
No. Battiato aveva un’etichetta, l’Ottava, ma era sempre in perdita. Battiato è un gran generoso e investiva un sacco di soldi per produrre alcuni dischi, ma purtroppo…
Mi parli della “Missa Populi”. Perché proprio una Messa?
È stata una necessità… molti musicisti hanno scritto una Messa, non è un caso. A un certo punto sentii il bisogno di farlo anch’io. E poi è stata un’esperienza fantastica, nonostante tutti gli ostacoli che ho incontrato. Ma alla fine ce l’ho fatta. L’ho voluta dedicare a Giovanni Paolo II perché lo stimo molto. In principio volevo chiamarla col suo nome, come Palestrina aveva intestato la sua al pontefice del suo tempo, chiamandola Missa Papa Marcelli.
Se dovesse fare un raffronto con la Messa Arcaica di Battiato…
La sua è di natura squisitamente meditativa. Per esempio il Kyrie eleison lo usa per la meditazione.
Attualmente cosa sta scrivendo?
Sto scrivendo delle musiche che traggono ispirazione da alcuni versetti del libro del Profeta Isaia. Ma ne parleremo quando il lavoro sarà finito…
Nota a margine – Dopo quasi tre ore di conversazione, il Maestro mi ha portato nel suo studio di registrazione, facendomi ascoltare i primi splendidi 9 minuti di “Isaia”. È stato, come immaginerete, un incontro davvero piacevole ed interessante, durante il quale abbiamo parlato amabilmente di molti altri argomenti e in cui gli ho manifestato l’intenzione di Alessia, di Paolo e mia di realizzare un sito su di lui, nel quale inserire anche questa intervista. Intenzione che il Maestro ha accolto con piacere, e che noi siamo lieti di pubblicare. (Don Marco Repelli, ottobre 2000)
Se amate Giusto Pio, assieme a questa bellissima e interessantissima intervista del 2000, vi invitiamo a leggere quella rilascia dal Maestro al nostro blog nel settembre del 2011. (La redazione)
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