L'album si intitola Basta unire i puntini e Foà scende nei panni di un cantautore a tutto tondo, regalandoci canzoni fuori dalle mode fatte anche di duetti preziosi, ma soprattutto di melodie che non hanno nulla a che vedere con l’avanguardia e tantomeno con l’elettronica.
Delicatezza, eleganza e artigianato dentro i suoni di questo esordio da cantautore del paroliere Alberto “Caramella” Foà.
Un lavoro in cui è facile notare quella spigolosa verità nella voce, quel modo di cantare dai contorni poco accomodanti, come accadeva nel sentire Claudio Lolli o Pierangelo Bertoli.
Un disco che scivola via con grazia e grande mestiere, quasi fosse suonato da partigiani della cultura anni ’70 (almeno è questa la mia impressione).
L’album si intitola Basta unire i puntini e Foà scende nei panni di un cantautore a tutto tondo, regalandoci canzoni fuori dalle mode fatte anche di duetti preziosi, ma soprattutto di melodie che non hanno nulla a che vedere con l’avanguardia e tantomeno con l’elettronica.
Quindici inediti – cifra anch’essa che testimonia l’assoluta indipendenza da stilemi che oggi divengono imperanti in un’epoca di liquidità assoluta – in cui ritroviamo il cantautorato di sempre, dalle raffinate smagliature world di Paolo Conte alla classicità di Fabrizio De André, passando per quei suoni rotondi e sicuri alla maniera di Testa fino a quei ricami romantici che ricordano Bertoli.
Pubblicato nel 2021 da Engine Records, Basta unire i puntini è un disco “anacronistico” attraverso cui Alberto Foà mette a fuoco amore, passione e poesia romanza; e dove i cavalli tornano sempre nella vita del nostro cantautore, così come torna la letteratura nella bellissima Chiamami aquila, tributo in canzone all’eterno “Il gabbiano Jonathan Livingstone”.
Dentro questo disco c’è insomma tutto quello che i nostri genitori, o i più giovani seguaci di Cammariere, hanno sempre celebrato come musica alta. Quella che rende sfacciata la differenza tra le canzoni e le canzonette. (Alessandro Riva)
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