Il 24 maggio 2021 Bob Dylan compie 80 anni. Un artista che, nonostante sia sempre stato lontano da mode e cliché, ha influenzato con la sua musica e i suoi dischi intere generazioni di musicisti, riuscendo perfino a creare “nuove espressioni poetiche all'interno della grande tradizione della canzone americana”.
Da quando ventenne arriva a New York dal Minnesota, Robert Allen Zimmerman (Duluth, 1941) di strada ne ha fatto davvero tanta: dalle sue prime esibizioni dal vivo come Bob Dylan (in omaggio al poeta Dylan Thomas) all’incontro in ospedale con il suo mito di gioventù Woody Guthrie, fino a conquistare nel 2016 il Premio Nobel per la Letteratura “per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”.
Be’, non male per un ragazzo del Midwest, cresciuto ascoltando musica blues e country dalle radio, che improvvisamente decide di abbandonare la tranquillità di un college per andare nel 1961, con la chitarra in spalla e qualche spicciolo in tasca, nella stimolante quanto caotica New York.
Una volta entrato nel circuito del Greenwich Village, Bob Dylan diventa immediatamente una delle figure principali della rinascita folk degli anni Sessanta.
Da quel momento in poi sono tantissimi gli incontri che segnano la carriera di Dylan, da Ramblin’ Jack Elliott e Dave Van Ronk a Joan Baez e Suze Ruotolo, che gli fa conoscere Brecht e Rimbaud. Ma senza dubbio il più importante e decisivo di tutti è quello con John Hammond, il talent scout della Columbia Records che per primo si accorge del suo talento.
«Di mio, Hammond aveva sentito solo due canzoni, ma aveva il presentimento che ne sarebbero seguite altre.[…] Che fosse lui a farmi firmare il contratto con la Columbia era una cosa assolutamente incredibile, sembrava uno scherzo preparato».
Da “Chronicles. Volume 1“, di Bob Dylan
Insomma, il produttore discografico John Hammond ci aveva visto lungo.
«La Columbia era una delle prime e più importanti etichette del paese e per me era una cosa seria anche solo metterci piede. Tanto per cominciare, la musica folk era considerata un rottame, roba di scarto, pubblicata solo da piccole etichette. Strettamente riservate all’élite, le grandi compagnie discografiche si dedicavano a musica già depurata e pastorizzata. Uno come me non sarebbe mai stata accettato a meno di circostanze straordinarie. Ma John era un uomo straordinario. Non faceva dischi per ragazzini. Era un visionario e guardava lontano. Mi aveva visto e sentito, aveva capito come la pensavo e aveva fiducia in quello che doveva venire. Mi spiegò che in me aveva intravisto il continuatore di una lunga tradizione, quella del blues, del jazz e del folk, non un ragazzo prodigio con i denti appena spuntati e nemmeno un fenomeno all’ultimo grido».
Da “Chronicles. Volume 1“, di Bob Dylan
Com’è sia andata a finire la storia, ormai lo sappiamo tutti. Bob Dylan scrive capolavori folk rock epocali con un linguaggio intimo e popolare ma allo stesso tempo colto e ricco di citazioni storiche e letterarie: dai confortevoli esordi di Bob Dylan (1962), The Freewheelin’ Bob Dylan (1963), The Times TheyAre a-Changin’ (1964) e Another Side of Bob Dylan (1964) ai deraglianti Bringing It All Back Home (1965), Highway 61 Revisited (1965) e Blonde on Blonde (1966).
Non sbagliava, dunque, John Hammond nel vedere in quel ragazzo che si faceva chiamare Bob Dylan un musicista in grado di scuotere dal torpore la scena musicale americana (e internazionale), ancora prima dell’arrivo di grandi formazioni come Beatles e Rolling Stones.
«Io a quell’epoca suonavo canzoni folk spigolose e taglienti, con contorno di fuoco e zolfo. Non c’era bisogno di ricerche di mercato per capire che non avevano niente a che fare con la programmazione delle radio e che non si prestavano a nessun discorso commerciale, ma John mi aveva detto che lui a queste cose non badava, e capiva benissimo le implicazioni di quello che facevo io».
Da “Chronicles. Volume 1“, di Bob Dylan
Un’incessante e intensa attività artistica fatta di concerti e trasmissioni radiofoniche ma soprattutto di produzioni discografiche che negli anni a venire non smettono mai di emozionare, basti ascoltare, per esempio, meraviglie come Blood on the Tracks (1975), Desire (1976), Street Legal (1978), Oh Mercy (1989), Modern Times (2006), Tempest (2012) e il recente Rough and Rowdy Ways (2020).
Del resto Bob Dylan non ha mai pensato di fermarsi e tanto meno di porsi domande sulle sue canzoni, anche quando viene insignito nel 2016 di un premio prestigioso come il Nobel per la Letteratura.
Buonasera a tutti.
Estendo i miei più calorosi saluti ai membri dell’Accademia di Svezia e a tutti gli altri illustri ospiti presenti a questa serata.
Mi dispiace di non essere lì con voi di persona, ma vi prego di sapere che sono con voi in spirito e mi ritengo onorato di ricevere un premio così prestigioso. Che mi venisse assegnato un Premio Nobel per la Letteratura è una cosa che non avrei mai potuto immaginare, o prevedere. Fin dalla gioventù ho letto, assorbito e avuto familiarità con le opere di coloro che sono stati ritenuti degni di un tale riconoscimento: Kipling, Shaw, Thomas Mann, Pearl Buck, Albert Camus, Hemingway. Questi giganti della letteratura, le cui opere sono insegnate nelle scuole, ospitate nelle biblioteche di tutto il mondo, e di cui si parla con rispetto, mi hanno sempre suscitato una profonda impressione. Che io oggi mi aggiunga ai nomi di questa lista è una cosa che va al di là delle parole.
Non so se questi uomini e queste donne abbiano mai pensato a se stessi come destinatari del Nobel, ma suppongo che tutti quelli che nel mondo abbiano scritto un libro, un poema o un’opera potrebbero aver avuto questo sogno segreto, nel loro profondo. Anche se sepolto così in profondità che neppure l’autore ne sospetta la presenza.
Se qualcuno mi avesse mai detto che avrei avuto la minima possibilità di vincere il Premio Nobel, avrei pensato di avere le stesse probabilità di ritrovarmi sulla Luna. Nell’anno in cui sono nato, e per alcuni anni successivi, nessuno al mondo è stato considerato all’altezza di riceverlo. Quindi, il minimo che possa dire è che mi rendo conto di trovarmi in una compagnia molto selezionata.
Ero in tournée quando ho ricevuto questa sorprendente notizia, e mi ci sono voluti parecchi minuti per rendermene bene conto. Ho cominciato a pensare alla grande figura letteraria di William Shakespeare. Immagino che si ritenesse un drammaturgo e che il pensiero di stare scrivendo letteratura non lo sfiorasse nemmeno. Le sue parole erano scritte per il palcoscenico, era inteso che dovessero essere dette non lette. Mentre scriveva l’Amleto, sono sicuro che pensava a molte cose: “Chi sono gli attori giusto per queste parti?”, “Come lo devo mettere in scena?”, “Lo voglio davvero ambientare in Danimarca?”. La sua visione e le sue ambizioni creative erano senza dubbio al primo posto, ma c’erano anche molte questioni pratiche di cui bisognava tener conto e che dovevano essere risolte. “Siamo coperti finanziariamente?”, “Ci sono abbastanza posti per il mio pubblico abituale?”, “Dove lo trovo un teschio umano?”. Sono disposto a scommettere che la cosa più lontana dalla mente di Shakespeare fosse la domanda: “Questa è letteratura?”.
Da giovane, quando ho iniziato a scrivere canzoni, e anche quando il mio talento ha cominciato a essere un po’ riconosciuto, le speranze che nutrivo per quelle canzoni non andavano così lontane. Pensavo che sarebbero state ascoltate nei caffè, nei bar e, forse, dopo un po’, in posti come la Carnegie Hall o il London Palladium. Se mi concedeva di sognare, potevo persino immaginare di incidere un disco e poi ascoltare le mie canzoni alla radio. Quello era il vero premio che avevo in mente allora. Incidere dischi e ascoltare le tue canzoni alla radio significava aver raggiunto il grande pubblico, e che avresti potuto continuare a fare quello che ti eri proposto.
Bene, ormai è un bel po’ di tempo che continuo a fare quello che ho mi ero proposto di fare: ho inciso dozzine di dischi e ho eseguito migliaia di concerti in giro per il mondo. Ma sono sempre le mie canzoni il centro vitale di quasi tutto quello che faccio. Sembra che abbiano trovato un posto nella vita di tanta gente in molte culture differenti, e di questo sono molto grato.
Ma c’è una cosa che devo dire. Da musicista ho suonato per cinquantamila persone e per cinquanta persone, posso assicuravi che è più difficile suonare per cinquanta. Cinquantamila persone sono un’unica personalità, cinquanta non lo sono. Ognuna di loro ha una propria identità, separata, ciascuna è un mondo a sé. Cinquanta persone percepiscono le cose in maniera più chiara. Mettono alla prova sia la tua onestà sia il rapporto che questa instaura con lo spessore del tuo talento. E il fatto che il comitato del Nobel sia così ristretto non è una cosa che mi sia sfuggita.
Ma, come Shakespeare, anch’io spesso sono impegnato con i miei sforzi creativi e con tutti gli aspetti più quotidiani della vita. “Chi sono i musicisti migliori per questa canzone?” “Sto registrando nello studio giusto?”, “Sto suonando questa canzone nella tonalità giusta?”. Ci sono cose che non cambiano mai, anche in 400 anni.
Mai una volta ho avuto il tempo di chiedermi: “Le mie canzoni sono letteratura?”.
Per cui ringrazio l’Accademia di Svezia, sia per aver voluto porsi la domanda sia per aver dato, infine, una così magnifica risposta.
I miei migliori auguri a tutti voi,
Bob Dylan
Lettera all’Accademia di Svezia, 10 dicembre 2016.
Pressoché impossibile definire un personaggio così sfuggente, poliedrico e contraddittorio come Bob Dylan, che, senza mai perdere un briciolo di credibilità e identità, è riuscito a essere tutto e il suo contrario. Poeta e uomo d’affari.
D’altronde è lui stesso che canta “Io contengo moltitudini“, quasi volesse esternare al mondo intero la molteplicità della sua opera artistica, che poi in fondo coincide con quella della vita.
Da parte nostra invece, che siamo ancora qui ad ascoltare le sue canzoni cercando di scorgerne indizi, significati e sussurri, non possiamo che ringraziarlo per le belle emozioni consegnateci, augurandogli buon compleanno per i suoi 80 anni. (La redazione)
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