Zuccarino Rehab continua il suo percorso di “riabilitazione musicale” nonostante le attuali distanze sociali e culturali.
Un ritorno attraverso il quale Zuccarino Rehab continua imperterrito il suo percorso di “riabilitazione musicale” – così come lui stesso ama definirlo – nonostante le distanze sociali e culturali sembrano aggravarsi ogni giorno di più.
Graziano Zuccarino, storico artista abruzzese di origini australiane, con il moniker di Zuccarino Rehab sforna la seconda suite personale che questa volta dedica alla figura storica di Domenica Catena, una bellissima fanciulla rapita dai predoni e portata in dono al sultano turco, per mano del comandante Pialì Bassa. Ecco: in primo luogo è la storia a fare da collante. Ci troviamo a Francavilla al Mare (Chieti) nel 1500 circa durante lo sbarco sulle coste e l’invasione dei saraceni.
I sei inediti di Zuccarino Rehab dunque si legano tantissimo a tutto questo scenario, ricuciono la storia tra allegorie e antiche tradizioni passando inevitabilmente sulle tante edulcorazioni che il tempo regala alle vicende realmente accadute.
Il dialetto, punto fermo sempre presente nella scrittura del nostro, è un segno vivo di questa forma canzone e ci piacerebbe sapere se abbia una radice arcaica o se sia solo il dialetto corrente che troviamo in Abruzzo.
E poi la composizione: in questa seconda suite ovviamente, quasi a didascalia del tema, troviamo la Turchia in tanti sapori e in tanti arrangiamenti, dalla melodia cantata del singolo Libera liberata, ai suoi ostinati di chitarra acustica e la voce sembra ripercorre anche questi gusti quando canta le liriche corali di Domenica Catena, o anche dentro gli arrangiamenti elettrici dell’ultima traccia Look the Children, che peraltro segnalo come il momento più atavico e psichedelico del disco, dentro cui non solo l’italiano pulito ma anche un rock dalle sfaccettature più progressive fa capolino in una scrittura che fino ad ora aveva avuto ben altri contorni.
Il paese e le sue atmosfere lo ritroviamo anche nelle sue festività di piazza e qui arriva un fuori pista interessante come San Rocco dell’Assunzione, ballata popolaresca che davvero ci traghetta dentro un mood che sinceramente non ci saremmo mai atteso dentro questo ascolto. Ma a un’attenzione maggiore in realtà si capisce come questa varianza arriva spesso e volentieri.
Ed ecco allora le prime chitarre acustiche di Jarbine che subito sottolineano l’uso di accordi in settima (quei retrogusti balcanici di cui dicevo prima) e che sembrano portarci nel mondo esoterico di un ultimo Amerigo Verardi.
C’è inoltre l’andamento quasi reggae di Mama Don’t Cry dai sapori appena latini che inevitabilmente richiamano Marley e le sue ballate pastello per poi tornare su Domenica Catena, dove il reggae si rende sfacciato, ci tornano alla mente quei primi U’Papun baresi che sinceramente mancano sulla da troppo tempo.
Suite numero due. Catena è un disco fermo, dal suono pulito e preciso, ottimamente prodotto e ricco di personalità che sa mescolare in se tradizione e psichedelia (parola spesso usata nella critica che ricorre di questo disco e che io miro di più verso un concetto di colori e di intenzioni più che di genere). Chissà se il dialetto si rivelerà ancora una volta una zavorra, dischi come questi hanno i connotati nazionali capaci di non perdere mai terreno al confronto di tanto tanto altro che accade nella scena indie italiana. (Alessandro Riva)
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