La cantautrice romana ci parla del suo nuovo album dal titolo «La terra liberata»
Lalla Bertolini è una cantautrice preparata, con una lunga esperienza e un percorso pieno di progetti, nonostante i soli due album prodotti. La terra liberata è il suo ultimo lavoro discografico uscito a febbraio 2022 per New Model Label.
La prima idea ascoltando il disco è quella di sentire voci e liriche in primo piano, ricamate su un tappeto armonico ben tessuto e arrangiamenti curati e mai eccedenti, che sottolineano temi impegnati e realtà che incontrano elaborazioni immaginifiche rendendo la narrazione intensa e tenendo l’ascoltatore attento e curioso.
Nelle canzoni si sentono tante inflessioni, radici ben piantate nella tradizione cantautorale del folk internazionale ma anche tipiche dell’espressività tutta italiana.
In occasione della pubblicazione di quest’ultimo disco, abbiamo raggiunto la cantautrice romana per sapere qualcosa in più su La terra liberata. (La redazione)
La prima domanda che ho pensato di farti è anche una curiosità: come sono nati i temi delle tue canzoni e come hai pensato di unirli sotto l’idea di una “terra liberata”?
È una curiosità più che lecita e devo confessarti che me lo sono chiesta anch’io. Sicuramente un filo conduttore esiste, ma quale sia non mi è chiarissimo. Nel campo delle scelte artistiche (forse in ogni campo della vita) le cose che mi vengono meglio sono quelle istintuali. Seguo una linea ma non è esattamente logica o intellettuale; per questo non sono dotatissima ma – come si dice – agisco di “pancia”, con una spinta emozionale. A naso, mi sembra che le canzoni formino un bel corollario al titolo dell’album, e anche alla canzone omonima.
Gli arrangiamenti sono curati e spesso cullano la melodia vocale, fanno da ricco contrappunto in alcune canzoni, mentre in altre sono più scarni; come nascono le tue canzoni e come sono creati gli arrangiamenti?
Compongo con chitarra e voce: binomio quasi inseparabile. Nel senso che accordi e parole, nella grandissima maggioranza dei casi, si nutrono a vicenda nella loro nascita e crescita. Sono canzoni autosufficienti, stanno in piedi anche da sole. Gli arrangiamenti sono opera dei musicisti con i quali collaboro. Devo ricordare che di album ne ho fatti tre. Il primo, prodotto da una piccola etichetta romana, dal titolo “The Piercing Virtue” e dedicato a Emily Dickinson (i testi sono delle sue poesie da me messe in musica, e ottimamente arrangiate appunto dal gruppo col quale allora suonavo) non è stato pubblicato. Ma è un bel lavoro e spero che arrivi anche un suo momento. Nella “Terra liberata” in realtà, per la prima volta, esiste un vero e proprio arrangiatore: Carlo Melodia, chitarrista del gruppo col quale ho suonato negli ultimi anni. Ha registrato (con Giannantonio Rando, a Casperia in Sabina) e arrangiato tutte le canzoni. Ci siamo scambiati delle idee generali, all’inizio, ma il lavoro è stato suo. D’altronde è anche un compositore. In “Chiaroscuro”, canzone di Franco Fosca, la ripresa è stata invece fatta da Franco Pietropaoli, a Roma. E sempre Franco Pietropaoli è autore di gran parte dei cori, e del missaggio finale.
Da autrice attenta alle liriche e a temi impegnati, come vivi il tuo essere cantautrice nell’attuale modernità?
Esatto, come lo vivo? Ho utilizzato moltissimi stratagemmi: dal nascondermi, all’urlare di rabbia, allo scompormi, al ricompormi ordinatamente, al propormi, alla fuga, al dimenticarmi, al negarmi e di nuovo al ritrovarmi. È stato poi un gran piacere intellettuale, quello sì, cercare di capire cosa fosse questa modernità; cercare di capire cosa fosse l’essere “cantautore”, guardare nel passato e nel futuro. Il presente ecco, mi è sempre stato un po’ ostico. Ma, effettivamente, è il solo spazio a noi concesso per l’azione, quindi ho dovuto lavorare molto in questo senso.
Trovi che essere cantautrice oggi sia una missione o un ruolo sociale, anche necessario, da indossare in controtendenza o deve rimanere una vocazione puramente istintiva e genuina del proprio sentire?
Sono molto affascinata dal ruolo sociale, ma non credo di averne la stoffa. Mi ritrovo più nella vocazione, che poi è anche una bella scappatoia di fronte ad ogni insuccesso.
Quando scrivi hai un pubblico di riferimento? Pensi mai cosa possa pensare un tuo potenziale ascoltatore?
Ultimamente lo desidero molto, un pubblico di riferimento, perché della solitudine non so più che farmene. Per quanto sia una abitudine difficile da abbandonare. Attraverso tutte quelle fasi, di fuga, ritrovamento etc di cui parlavo prima, sono arrivata, se diovuole, a una semplificazione. Non mi preoccupa tanto cosa possa pensare un ascoltatore, bensì cosa possa provare. A volte ho provocato reazioni abbastanza violente, cantando certe canzoni, e devo dire (con un po’ di vergogna) che la cosa non mi dispiaceva (una volta al sicuro). Riuscire a muovere gli animi altrui è un obbiettivo che mi gratifica parecchio. Il pubblico che cerco è fatto di persone a cui piaccia il movimento e che si annoi nella staticità.
Come ti relazioni con il mondo dei social e dello streaming? Da cantautrice pensi che la musica sia assoggettata a questi strumenti o invece siano un valido modo per far conoscere e diffondere la propria musica?
Be’, non è il mio forte, direi. Credo che siano dei validi mezzi, ma ci vuole un’educazione, o un’attitudine specifica che purtroppo mi manca. A piccoli passi sto imparando il modo per utilizzarli.
Da artista, scegli una caratteristica chiave, per te fondamentale, che guida il tuo lavoro e spiegaci il perché per te è importante.
Io ho cantato e canto, effettivamente, per stupore, parola che, fra i vari sinonimi che mi offre il programma Word col quale scrivo adesso, vede anche comparire “incredulità, sbalordimento, disorientamento e confusione”. Se, come mi pare di aver capito, a volte alla fine dell’elenco ci sono invece i “contrari” leggo “freddezza”, come ultima parola. Ecco. La freddezza parte, o è generata, dalla staticità; il calore dal movimento, fosse anche disorientante. Come parola chiave direi “ricerca disorientante”. Piena di calore.
Cosa ti aspetti da questo album e cosa vedi nel tuo prossimo futuro?
Mi piacerebbe tanto se fosse ascoltato! Mi piacerebbe che mi facesse entrare in contatto con il tipo di persone che descrivevo prima. Mi piacerebbe se riuscisse a muovere emozioni e pensieri. Sono grandi aspettative. Il “prossimo futuro” credo di viverlo già, nella sua indeterminazione ed euforia. È un periodo stranissimo e comunque ricco di possibilità, per il pianeta. Forse ci siamo accorti improvvisamente che stiamo girando nello spazio infinito di universi sconosciuti su un’unica piccola terra. Una specie di faticoso lunghissimo risveglio. Io prego che sia collettivo. In tutti i casi, grazie delle belle domande!
(Articolo coperto da copyright. Per informazioni, contattare l’editore di questo blog.)
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✓ MUSICLETTER.IT © Tutti i diritti riservati - 31 Luglio 2022