Giulio Spagnolo è figlio d'arte, nel vero senso della parola, figlio dell'arte in sé, che lo ha condotto a sviluppare un proprio stile.
Giulio Spagnolo è figlio d’arte, nel vero senso della parola, figlio dell’arte in sé, che lo ha condotto a sviluppare un proprio stile, genere, sfera intima e personalissima in cui racchiude le sue storie, i suoi frammenti di vissuto, la sua malinconia, la sua felicità d’essere un cantautore moderno con tanto da dire.
Il suo disco intitolato Beato chi è una festa, un concetto chiaro e preciso, una musica continua che si espande nell’aria come una vera e propria euforia estiva che, anche se non precisamente in linea con ciò che possiamo sentire oggi in radio, diverte, incanta, affascina.
Beato chi è un disco da conoscere, sapere, apprezzare, gustare, far invecchiare nei propri timpani, come un buon vino, per non dimenticare mai che l’artista in sé ha un ruolo ben preciso, portarci per mano in dimensioni dierse ed in mondi che nascono solamente nella mente degli artisti.
Giulio Spagnolo ha qualità, stoffa, carattere, precisione d’esecuzione e non si preoccupa di sbagliare, d’essere fuori dal coro o di essere lui stesso tutto il coro, perché la sua storia parte da bambino, dal primo album di De André, che ha plagiato il suo modo di sentire, pensare e vedere la musica.
Ogni traccia ha un storia in sé racchiusa pronta a sbocciare non appena parte la riproduzione da parte dell’ascoltatore. Beato chi è una buona prova di carattere, un disco pop e cantautoriale (ma non troppo) contaminato da un folklore che riscalda il cuore e tiene unite le fila dell’opera stessa.
In sostanza Beato chi è un gran disco, fatto bene e preciso e puntuale in tutto ciò che ci si aspetta da un disco oggi e se cercate ancora un barlume di luce in una scena dove poesia e bellezza sono ormai assenti, vi tocca premere play, andare avanti, godervi il vostro vino rosso e lasciare che la magia accada. (Lorenzo D’Antoni)
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