I riferimenti sono: Police, Dire Straits, Cohen, Sting, Peter Gabriel, Paul Weller e, ovunque, i Pink Floyd, soprattutto quando il sax entra a colorare tutto.
Devo ammettere che ho fatto fatica a imbattermi in questo disco senza quel maledetto pregiudizio che mi assale quando un italiano canta una lingua che non è la sua.
In questo caso però, pur avendo messo da parte ogni sorta di pregiudizio, penso che la pronuncia inglese di Paul Man, un po’ tanto italiana al mio orecchio, segni il grave difetto di quest’opera prima dal titolo I.n.t.l. live.
Di sicuro il mestiere c’è: i suoni, puliti, ben fatti e misurati, sono sfacciatamente figli di ascolti altissimi e il merito lo si deve probabilmente al vissuto del musicista che ha costruito molto bene tutto il progetto.
Tanto di cappello va dunque a Paolo Mancini, che per questo primo album si firma Paul Man (o meglio Paul Man Project), maturo come l’età che lo vede tuffarsi per la prima volta dentro inediti scritti di suo pungo.
I riferimenti sono: Police, Dire Straits, Cohen, Sting, Peter Gabriel, Paul Weller e, ovunque, i Pink Floyd, soprattutto quando il sax entra a colorare tutto.
Il risultato finale, quantunque gradevole, soprattutto nella scelta di averci consegnato un disco rigorosamente live, pecca di originalità con troppe soluzioni (anche melodiche) che richiamano dischi epocali, inficiando in qualche modo la personalità di I.n.t.l. live, dando quasi l’impressione – in alcuni passaggi del disco – che Paul Man abbia “copiato male” idee giganti.
Ecco, per esempio, sarebbe bastata seguire certe costruzioni dell’ultima traccia Beautiful Brown Eyes per uscire fuori da uno scenario fin troppo uguale.
È per questo che I.n.t.l. live è un disco lodevole nelle intenzioni ma concretamente fin troppo ancorato progetto a una scena internazionale troppo grande e lontana dal nostro Paul Man, almeno per ora. (Alessandro Riva)
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