I Tinariwen tornano finalmente in Italia per presentare il loro nuovo disco, Amatssou, in uscita il 19 maggio 2023.
Nomadi tuareg insieme a cowboys vagabondi. Carovane di cammelli e cavalli mustang. L’orizzonte senza tempo dell’infinito Sahara e la frontiera selvaggia del Vecchio West e, quando il giorno volge al termine, chitarre attorno al fuoco, cantando canzoni di perdita e desiderio e nomadismo.
Diverse migliaia di miglia di oceano possono dividere gli azzurri cieli del deserto dei Tinariwen e l’autentica musica country dell’America rurale, ma i legami restano tanto palpabili quanto romantici.
Per Amatssou, il loro nono album in studio, i Tinariwen hanno iniziato ad esplorare queste connessioni utilizzando banjo, violini e pedal steel, e mescolandoli perfettamente con il marchio di fabbrica della band Tuareg. Linee di chitarra serpeggianti e groove ipnotici.
Nei due decenni trascorsi da quando i Tinariwen sono fuoriusciti dal deserto africano per girare il mondo, hanno avuto modo di fare la conoscenza di molti rinomati musicisti country, folk e rock americani, tra cui Kurt Vile, Cass McCombs, Micah Nelson (figlio di Willie Nelson), Cat Power, Wilco, Bon Iver e Jack White.
La storia di Amatssou inizia nel 2021 quando proprio Jack White li invitò per una session a Nashville nel suo studio di registrazione privato. White è un fan di lunga data e già aveva “prestato” ai Tinariwen il proprio ingegnere del suono Joshua Vance Smith per mixare l’ultimo album del gruppo, Amadjar nel 2019.
Il piano iniziale questa volta era quello di volare verso gli Stati Uniti d’America per registrare con musicisti country locali e col Grammy-winner e produttore Daniel Lanois, i cui crediti di produzione variano dagli U2 e Bob Dylan a Willie Nelson e Emmylou Harris.
Ibrahim Ag Alhabib, membro fondatore della band originaria del Mali, insieme a Touhami Ag Alhassane, Abdallah Ag Alhousseyni, Eyadou Ag Leche, Said Ag Ayad e Elaga Ag Hamid erano già pronti a intraprendere il viaggio salvo poi dover rinunciare a causa della pandemia. I programmi furono così frettolosamente ridisegnati e Lanois accompagnato da un gruppo selezionato di musicisti country americani ha intrapreso il percorso inverso per l’Africa per lavorare con la band nel suo naturale contesto.
L’ultimo album di Tinariwen è stato registrato quindi in un campo in Mauritania sotto le stelle. Questa volta la band ha deciso di dirigersi verso Djanet, un’oasi nel deserto dell’Algeria meridionale situata nel Parco Nazionale del Tassili N’Ajjer, un vasto altopiano di arenaria che è patrimonio mondiale dell’UNESCO e famoso per i suoi reperti di arte rupestre preistorica vecchi 10.000 anni. Lì tra affioramenti rocciosi frastagliati e la roccia arenaria, hanno allestito uno studio improvvisato in una tenda, con attrezzatura presa in prestito dallo studio di un altro gruppo Tuareg, gli Imarhan di Tamanrasset, città a due giorni di viaggio di distanza e dove il primo embrione dei Tinarwien prese vita circa 40 anni fa.
Assieme all’attrezzatura degli Imarhan è arrivato il chitarrista della band Hicham Bouhasse per contribuire alla registrazione, ma durante la seconda fase della pandemia, Lanois ha poi contratto il Covid e il contingente americano è stato costretto a fare marcia indietro.
Fortunatamente, l’integrità del progetto è rimasta intatta grazie alle meraviglie della tecnologia moderna, con Lanois che aggiunge sapienti tocchi dal suo studio di Los Angeles, i musicisti country Fats Kaplin e Wes Corbett registrano le loro parti a Nashville mentre il percussionista di Cabilia Amar Chaoui registra la sua a Parigi.
Il suono della pedal steel e la produzione cristallina di Lanois aggiungono un’atmosfera unica al blues del deserto dei Tinariwen rendendola simile alla trance come in Arajghiyine e Jayche Atarak. Il banjo di Corbett regala una tessitura empatica al brano di apertura Kek Alghalm, Kalpin, uno dei sidemen di Jack White che ha anche suonato in uno traccia sull’album Emmaar dei Tinariwen (2014), contribuisce in vari modi: pedal steel, violino e banjo in sei dei dieci brani.
La cultura tuareg è antica quanto quella dell’antica Grecia o di Roma, ma fondendo gli stili tradizionali dell’Africa occidentale e quella araba, con influenze blues, country, folk e rock, le canzoni di Amatssou finiscono per parlare della realtà attuale e spesso dura della vita tuareg di oggi.
In uscita il 19 maggio 2023, Amatssou in lingua Tamashek significa “Oltre la paura” e rende perfettamente l’idea di quello che contiene questo nuovo disco. E il coraggio hai Tinariwen non manca di certo. (La redazione)
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