Ripubblichiamo una vecchia recensione di «Stand by me (ricordo di un'estate)», film del 1986 diretto da Rob Reiner, apparsa sul nostro magazine il 28 giugno 2007. Buona lettura.
Ci sono film che restano impressi nella memoria come se ti avessero marcato a fuoco il cervello e che, contrariamente alla semplicità del plot, mettono in evidenza una profondità narrativa fatta di discorsi e di immagini decisamente emozionanti, rispecchiando in qualche modo la propria adolescenza.
Stand By Me (ricordo di un’estate) – tratto dal romanzo di Stephen King (The Body) e diretto dal figlio d’arte Rob Reiner – è uno di quelli.
Ambientato sul finire degli anni Cinquanta, Stammi Vicino è il racconto di quattro dodicenni che, partendo dalla sonnolenta cittadina dell’Oregon, Castle Rock, decidono di avventurarsi nella ricerca del cadavere di un loro coetaneo dopo che il paffutello Vern era venuto a conoscenza della triste notizia che, di lì a poco, avrebbe stravolto quei giorni d’estate.
Un viaggio lungo i binari della ferrovia, lontani da casa, verso la scoperta del corpo dell’amico e di se stessi. Un’avventura che non racchiude alcun mistero se non quello della vita che, improvvisamente, viene messa in discussione con la morte del giovane Ray Brower.
Un ricordo malinconico, goliardico e a tratti grottesco che vede come protagonisti, oltre al pavido e ingenuo Vern, l’occhialuto Teddy, folle come pochi, il carismatico e povero Chris (interpretato da un giovanissimo River Phoenix, talentuoso attore scomparso a soli 23 anni) e il riflessivo Gordie con evidenti e combattute aspirazioni di scrittore (il babbo avrebbe preferito la sua morte anziché quella del fratello maggiore, nei confronti del quale nutriva invece le speranze di una più interessante carriera sportiva).
Un’opera cinematografica che trasuda in meno di 90 minuti principi morali e umane debolezze che a stento oggigiorno si riescono a trasmettere in una narrazione così leggera e così lineare.
Con questa pellicola, infatti, Reiner riesce a mostrare il cinismo unito al senso di appartenenza, l’immaginazione che si muove assieme all’angoscia, derivante dalle incomprensioni familiari, e il romanticismo che assume le sembianze dello sberleffo oppure di una fraterna sfregata di mano.
Visioni crepuscolari e splendidi dialoghi, a partire dall’iniziale partita a carte nel rifugio costruito sopra l’albero, a cui si alternano momenti di paura, di coraggio e di fragilità come quando Teddy, per orgoglio, difende a spada tratta il papà violento e mentecatto.
Un perfetto equilibro di naturali trepidazioni: da quel sano desiderio di popolarità che spinge il gruppo al ritrovamento della salma, prima che questa venga rinvenuta dalla polizia, alla sfida con i ragazzi più grandi del paese, anche loro sulle tracce del defunto per guadagnarsi la notorietà in TV.
Infine, ci sono ricordi che non si possono raccontare a nessuno, neanche al migliore degli amici, come la scena dell’incontro ravvicinato di Gordie con il daino, istanti talmente intimi che a riferirli perderebbero di poesia.
Stand By Me è senza dubbio una delle pellicole più care al sottoscritto che fa il paio con il monumentale Walk The Line di James Mangold interpretato, manco a dirlo, da Joaquin Phoenix (fratello di River).
Un film per tutti quelli che non hanno mai smesso di credere nel valore universale dell’amicizia e che termina sulle note del capolavoro di Ben E. King… (L.D.)
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