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La senatrice Segre contro il premierato del governo Meloni. Leggi il discorso integrale

La senatrice a vita Liliana Segre esprime forti preoccupazioni sulla riforma del premierato proposta dal governo Meloni, evidenziando gravi rischi per la democrazia italiana. La senatrice critica l'elezione diretta del Presidente del Consiglio, che potrebbe causare una falsa stabilità politica e compromettere la rappresentatività del Parlamento e il ruolo del Presidente della Repubblica. Leggi il discorso integrale.

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Nella giornata di ieri, 14 maggio 2024, la senatrice a vita Liliana Segre ha espresso il suo netto dissenso nei confronti del disegno di legge costituzionale sul premierato elettivo proposto dal governo Meloni, durante un intervento nell’Aula del Senato. Nonostante la sua consueta discrezione, la Segre ha ritenuto necessario prendere posizione su una riforma che giudica estremamente pericolosa per la democrazia italiana.

Ringraziamenti e preoccupazioni iniziali

Liliana Segre ha iniziato il suo intervento ringraziando Elisabetta Casellati per la vicinanza sempre dimostratale, ma ha subito sottolineato i vari aspetti allarmanti del disegno di legge, che non può e non vuole ignorare. A suo avviso, la proposta presenta due rischi principali: una stabilità politica fittizia e una grave lesione della rappresentatività del Parlamento.

Rischi di stabilità politica e rappresentatività

Il primo rischio, secondo la senatrice, deriva dalla possibilità che un presidente del Consiglio eletto direttamente debba operare in un contesto di conflitto istituzionale con un Parlamento recalcitrante, senza vie di uscita chiare. Il secondo rischio, invece, riguarda la rappresentatività del Parlamento, che verrebbe compromessa da meccanismi elettorali maggioritari, distorcendo la volontà degli elettori.

Richiamo ai precedenti giuridici

La Segre ha ricordato le due leggi elettorali precedenti, bocciate dalla Corte Costituzionale per aver leso il principio di uguaglianza del voto, e si è chiesta come si possa perseverare nell’errore proponendo una nuova legge destinata a comprimere ulteriormente la rappresentatività parlamentare.

Declassamento delle prerogative presidenziali

Un ulteriore motivo di allarme è rappresentato, secondo la Segre, dal declassamento delle prerogative del Presidente della Repubblica. La riforma trasforma, di fatto, il capo dello Stato in un notaio, costretto a guardare dal basso un Presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare. Questo cambiamento potrebbe far sì che il Presidente della Repubblica diventi parte del “bottino” elettorale del partito vincente, assieme al controllo della maggioranza parlamentare e degli organismi di garanzia costituzionale.

Concentrazione del potere e rischi democratici

Per la senatrice a vita è imperativo evitare la concentrazione di potere nelle mani di un singolo individuo, scenario che nessun sistema presidenziale o semi-presidenziale consentirebbe. La riforma Casellati non rappresenta, quindi, un gesto di buona volontà verso una maggiore condivisione del potere, ma un ulteriore stravolgimento che esporrebbe l’Italia a pericoli ancora maggiori.

Ecco il discorso integrale di Liliana Segre

Signor Presidente, Care Colleghe, Cari Colleghi,
continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una vera necessità del nostro Paese. E le drastiche bocciature che gli elettori espressero nei referendum costituzionali del 2006 e del 2016 lasciano supporre che il mio convincimento non sia poi così singolare.
Continuo anche a ritenere che occorrerebbe impegnarsi per attuare la Costituzione esistente. E innanzitutto per rispettarla.
Confesso, ad esempio, che mi stupisce che gli eletti dal popolo – di ogni colore – non reagiscano al sistematico e inveterato abuso della potestà legislativa da parte dei Governi, in casi che non hanno nulla di straordinariamente necessario e urgente.
Ed a maggior ragione mi colpisce il fatto che oggi, di fronte alla palese mortificazione del potere legislativo, si proponga invece di riformare la Carta per rafforzare il già debordante potere esecutivo.
In ogni caso, se proprio si vuole riformare, occorre farlo con estrema attenzione. Il legislatore che si fa costituente è chiamato a cimentarsi in un’impresa ardua: elevarsi, librarsi al di sopra di tutto ciò che – per usare le parole del Leopardi – “dall’ultimo orizzonte il guardo esclude”. Sollevarsi dunque idealmente tanto in alto da perdere di vista l’equilibrio politico dell’oggi, le convenienze, le discipline di partito, tutto ciò che sta nella realtà contingente, per tentare di scrutare quell’ “Infinito” nel quale devono collocarsi le Costituzioni. Solo da quest’altezza si potrà vedere come meglio garantire una convivenza libera e sicura ai cittadini di domani, anche in scenari ignoti e imprevedibili.
Dunque occorrono, non prove di forza o sperimentazioni temerarie, ma generosità, lungimiranza, grande cultura costituzionale e rispetto scrupoloso del principio di precauzione.
Non dubito delle buone intenzioni dell’amica Elisabetta Casellati, alla quale posso solo esprimere gratitudine per la vicinanza che mi ha sempre dimostrato. Poiché però, a mio giudizio, il disegno di riforma costituzionale proposto dal governo presenta vari aspetti allarmanti, non posso e non voglio tacere.
Il tentativo di forzare un sistema di democrazia parlamentare introducendo l’elezione diretta del capo del governo, che è tipica dei sistemi presidenziali, comporta, a mio avviso, due rischi opposti.
Il primo è quello di produrre una stabilità fittizia, nella quale un presidente del consiglio cementato dall’elezione diretta deve convivere con un parlamento riottoso, in un clima di conflittualità istituzionale senza uscita. Il secondo è il rischio di produrre un’abnorme lesione della rappresentatività del parlamento, ove si pretenda di creare a qualunque costo una maggioranza al servizio del Presidente eletto, attraverso artifici maggioritari tali da stravolgere al di là di ogni ragionevolezza le libere scelte del corpo elettorale.
La proposta governativa è tale da non scongiurare il primo rischio (penso a coalizioni eterogenee messe insieme pur di prevalere) e da esporci con altissima probabilità al secondo. Infatti, l’inedito inserimento in Costituzione della prescrizione di una legge elettorale che deve tassativamente garantire, sempre, mediante un premio, una maggioranza dei seggi a sostegno del capo del governo, fa sì che nessuna legge ordinaria potrà mai prevedere una soglia minima al di sotto della quale il premio non venga assegnato.
Paradossalmente, con una simile previsione la legge Acerbo del 1923 sarebbe risultata incostituzionale perché troppo democratica, visto che l’attribuzione del premio non scattava qualora nessuno avesse raggiunto la soglia del 25%.
Trattando questa materia è inevitabile ricordare l’Avvocato Felice Besostri, scomparso all’inizio di quest’anno, che fece della difesa del diritto degli elettori di poter votare secondo Costituzione la battaglia della vita. Per ben due volte la Corte Costituzionale gli ha dato ragione, cassando prima il Porcellum e poi l’Italicum perché lesivi del principio dell’uguaglianza del voto, scolpito nell’art. 48 della Costituzione. E dunque, mi chiedo, come è possibile perseverare nell’errore, creando per la terza volta una legge elettorale destinata a produrre quella stessa “illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare” ?
Ulteriore motivo di allarme è provocato dal drastico declassamento che la riforma produce a danno del Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato infatti non solo viene privato di alcune fondamentali prerogative, ma sarebbe fatalmente costretto a guardare dal basso in alto un Presidente del Consiglio forte di una diretta investitura popolare.
E la preoccupazione aumenta per il fatto che anche la carica di Presidente della Repubblica può rientrare nel bottino che il partito o la coalizione che vince le elezioni politiche ottiene, in un colpo solo, grazie al premio di maggioranza.
Anzi, è addirittura verosimile che, in caso di scadenza del settennato posteriore alla competizione elettorale, le coalizioni possano essere indotte a presentare un ticket, con il n° 1 candidato a fare il capo del governo ed il n° 2 candidato a insediarsi al Quirinale, avendo la certezza matematica che – sia pure dopo il sesto scrutinio (stando all’emendamento del Sen. Borghi) – la maggioranza avrà i numeri per conquistare successivamente anche il Colle più alto.
Ciò significa che il partito o la coalizione vincente – che come si è visto potrebbe essere espressione di una porzione anche assai ridotta dell’elettorato (nel caso in cui competessero tre o quattro coalizioni, come è già avvenuto in un recente passato grado di conquistare in un unico appuntamento elettorale il Presidente del Consiglio e il governo, la maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, il Presidente della Repubblica e, di conseguenza, anche il controllo della Corte Costituzionale e degli altri organismi di garanzia. Il tutto sotto il dominio assoluto di un capo del governo dotato di fatto di un potere di vita e di morte sul Parlamento.
Nessun sistema presidenziale o semi-presidenziale consentirebbe una siffatta concentrazione del potere; anzi, l’autonomia del Parlamento in quei modelli è tutelata al massimo grado. Non è dunque possibile ravvisare nella deviazione dal programma elettorale della coalizione di governo – che proponeva il presidenzialismo – un gesto di buona volontà verso una più ampia condivisione. Al contrario, siamo di fronte ad uno stravolgimento ancora più profondo e che ci espone a pericoli ancora maggiori.
Aggiungo che il motivo ispiratore di questa scelta avventurosa non è facilmente comprensibile, perché sia l’obiettivo di aumentare la stabilità dei governi sia quello di far eleggere direttamente l’esecutivo si potevano perseguire adottando strumenti e modelli ampiamente sperimentati nelle democrazie occidentali, che non ci esporrebbero a regressioni e squilibri paragonabili a quelli connessi al cosiddetto “premierato”.
Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan “scegliete voi il capo del governo!” Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate.
Concludendo il suo discorso, Segre ha ribadito che la riforma della Costituzione, così come proposta, non è necessaria e potrebbe mettere a rischio la stessa essenza della democrazia costituzionale italiana, sacrificando principi fondamentali in nome di uno slogan elettorale.

Liliana Segre

La difesa della Costituzione Italiana

Concludendo il suo discorso, la senatrice a vita Liliana Segre ha ribadito insomma che la riforma della Costituzione, così come proposta, non è necessaria e potrebbe mettere a rischio la stessa essenza della democrazia costituzionale italiana, sacrificando principi fondamentali in nome di uno slogan elettorale. (La redazione)


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