Categorie
musica

Franklin Delano – Intervista (2005)

franklindelano.jpg

I Franklin Delano si muovono abilmente tra cantautorato alternativo e sonorità tipicamente “post”. Sono il cuore oscuro del folk americano ma anche l’anima l’irrequieta del noise. La band nasce a Bologna dall’incontro di Paolo Iocca e Marcella Riccardi (ex Massimo Volume). Dopo due album e numerosi concerti in Italia e all’estero, Paolo ci parla dei nuovi progetti della band, all’indomani della fuoriuscita di Vittoria Burattini…

INTERVISTA A PAOLO IOCCA DEI FRANKLIN DELANO

Allora Paolo, chi sono i Franklin Delano? Ci racconti brevemente quando, dove e come è nata la band?
Franklin Delano è un progetto che nasce nel 2002 dall’idea di un dark folk stralunato. All’epoca abitavo in provincia di Modena, in una casa sperduta su un colle. Della prima formazione è ormai rimasta solo Marcella, che fin da subito ha creduto nel progetto e soprattutto nei brani. Dopo aver registrato un paio di demo – di cui uno registrato live – abbiamo cominciato a suonare sempre più spesso dal vivo, andando in tour con Sin Ropas e divindendo il palco con Okkervil River, Ulan Bator e Califone prima di arrivare all’attuale forma della band e al nostro recente disco per Madcap/File13.

Perché questo nome?
Suonava bene. Nessun riferimento politico. Semmai un’immagine di un pezzo di cultura americana “strappato” dal suo contesto. Come il nome (peraltro più diffuso di quel che sembri, anche oggi) di un presidente, ma che non ha più il riferimento a un cognome preciso. Senza cognome, cioè senza radici.

Come siete arrivati a registrare “All My Senses Are Senseless Today”?
“All My Senses Are Senseless Today” è in realtà nato come demo. Era un notebook da sistemare prima di una successiva registrazione (nelle nostre menti, una registrazione vera e propria). Poi è finita che la Zahr, a budget ridotto, ce lo pubblicasse così com’era, a Luca in fondo piaceva già così.

Poi c’è stato “Like A Smoking Gun In Front Of Me”, un album fortemente cercato, voluto…
“Like A Smoking Gun In Front Of Me” è stato in effetti un album che ci ha costretti tutti a fare dei salti mortali molto rischiosi, visto che era la prima volta che ci approcciavamo al mercato americano, e non ci sono moltissimi precedenti nelle band italiane. File 13 ci aveva offerto la distribuzione americana, ma non si sarebbe assunta rischi. L’accordo non era equo dal punto di vista di Zahr, ma noi non volevamo rinunciare a questa possibilità. Con sommo dispiacere abbiamo declinato l’offerta di Luca di una seconda uscita in Italia etc. e ci siamo messi in cerca di un’etichetta che credesse nel progetto. Alla fine i ragazzi di Madcap hanno voluto cogliere l’occasione e tentare l’azzardo, cosa che si è tradotta in un gran lavoro di squadra e una grande crescita per tutti. Poi c’era la sfida di andare a registrare a Chicago, parzialmente vinta (siamo riusciti solo a mixare con Brian Deck, ma intanto siamo riusciti a coinvolgere i nostri amici Califone). Una serie di problemi logistici da risolvere in modo creativo, vista la mancanza di fondi. Mi ritengo soddisfatto del modo in cui siamo riusciti a piegare la situazione.

I Franklin si muovono abilmente tra cantautorato alternativo e sonorità tipicamente “post”. L’America post rurale come legame più sentito?
Finora i riferimenti più grandi del nostro songwriting stavano nel “nuovo” folk americano, quello alternativo. Chiaro che l’influenza della grande America ha iniziato a farsi sentire, e pian piano i riferimenti si sono ampliati e spostati indietro nel tempo. Se prima si guardava nel passato prossimo, ora si inizia a scavare più indietro.

Quali sono i vostri riferimenti principali?
I riferimenti principali di “Like A Smoking Gun In Front Of Me” vanno cercati in certi Califone e Red Red Meat di sicuro, ma anche in certi progetti più sperimentali, tipicamente canadesi direi, come Polmo Polpo ad esempio; certe atmosfere ricordano forse la scena post slintiana (The For Carnation in particolare). È chiaro che poi ci sono richiami di cui non siamo consci. Qualcuno ha parlato di Wilco, ed è buffo perché nessuno di noi conosceva davvero Wilco quando l’album è uscito. Ora – solo ora – sono diventato un fan di Tweedy & Co., ma all’epoca nessuno di noi aveva idea della loro proposta. Chiaro che paragonare quel disco agli ultimi Wilco è eccessivo e ovviamente ci penalizza inutilmente, visto che non avevamo nulla a che vedere con loro.

Recentemente siete stati in tour negli States. Come ha reagito il pubblico americano?
Direi molto bene. C’è stata curiosità ed attesa, e le reazioni sono state sorprese e sorprendenti. È strano verificare che in realtà eravamo molto poco americani secondo i loro standard di giudizio, così come pare risultiamo così americani in Italia. Siamo in una terra di nessuno, almeno musicalmente parlando.

Abbiamo letto che c’è stato un cambio di formazione: l’ingresso di Marcello Petruzzi (ex Caboto) al basso e di Zeus Ferrari (ex Juniper Band) che sostituisce alla batteria Vittoria Burattini, ex Massimo Volume e ora anche ex Franklin. Puoi dirci qualcosa a proposito?
L’uscita di Vittoria è stata decisa di comune accordo, c’erano un po’ di differenze che tutti reputavamo “importanti” tra come io e Marcella vedevamo le cose e come invece le viveva Vittoria stessa. Questa separazione è arrivata al momento giusto, prima che queste differenze creassero più scompensi che arricchimenti nella band, rischiando magari di minare i nostri rapporti di amicizia. In un caso del genere non si dovrebbe mai mettere a repentaglio l’amicizia. Una band non è un matrimonio, è un progetto bello e bisogna portarlo avanti con persone che sono sulla tua stessa lunghezza d’onda. Sennò diventa una sofferenza e una forzatura per tutti. La decisione dell’inserimento di qualcuno al basso era già nell’aria da tempo, e da parecchio pensavo a coinvolgere Marcello, essendo io stesso un fan dei Caboto. Mi sono deciso a contattarlo quando eravamo alla ricerca anche del possibile sostituto di Vittoria. Zeus è un suo grande amico e da tempo loro due volevano iniziare un progetto musicale comune. Insomma i Franklin questa volta hanno preso due piccioni con una fava.

Ci sarà un cambiamento di rotta?
Il loro ingresso in band si colloca in un contesto di evoluzione stilistica (che si concretizzerà nella registrazione del nostro terzo album), che ha come fulcro l’idea e l’esigenza di diventare più rock, più muscolari e immediati. Al momento penso di essere stato fortunato a ritrovarmi questi due pazzi davanti al momento giusto…

Quando farete uscire il nuovo disco?
Penso non prima di settembre 2006. Lo registreremo a Febbraio/Marzo e penso che anticiperemo l’uscita dell’album con un singolo o un mini ad Aprile-Maggio

Puoi anticiparci qualcosa?
Come dicevo, i brani saranno più tradizionalmente rock e folk, con puntate nel suono anni ’50 o nel soul degli anni ’60. I brani saranno più concisi e diretti. La scrittura sarà più semplice mentre ci concentreremo molto su un arrangiamento più “orchestrato”. Di più non posso proprio dire.

In questi giorni cosa stai ascoltando di particolarmente interessante?
Nancy Sinatra con Lee Hazlewood, li adoro. Poi le Ronettes prodotte da Phil Spector, i Beach Boys, Flying Burrito Brothers…

Cosa ne pensi dell’ultimo lavoro degli Eels (”Blinking Lights And Other Revelations”)?
Non l’ho ancora ascoltato, ma di sicuro mi piacerà; visto che mi sto riavvicinando sempre più a un suono più diretto, non può che farmi bene un po’ di sano rock alla Eels.

ML – UPDATE N. 17 (2005-09-23)

La musica per me