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The Band of Black Ranchette – Still Lookin Good To Me (2003)

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Nato a metà degli anni Ottanta dal talento creativo di Howe Gelb, come progetto parallelo a quello ispido e tortuoso dei “più celebri” Giant Sand, The Band Of…Black Ranchette propone, a differenza del “Gigante di Sabbia”, sonorità americane meno ruvide e più tradizionali. Still Lookin’ Good To Me, quarto album della serie, ci consegna – dopo un gap di circa 13 anni e a distanza di 18 dall’esordio discografico – un Gelb in forma smagliante che per l’occasione scrive quattordici belle canzoni, pardon, dodici se escludiamo l’arrangiamento del brano tradizionale Working On The Railoard e Square scritta insieme all’amico Rainer Ptacek (1951-1997) – che riflettono le sfumature e gli sviluppi delle sue recenti produzioni. Composizioni cave e imbevute di leggiadra poesia, sincopata ritmicità e profumi di tex-mex; brandelli di sentimento che il Nostro songwriter riesce a plasmare meravigliosamente, trasferendoli all’interno di un album tiepido ma allo stesso tempo vivo e pulsante, levigato ma per nulla prevedibile. Una fatica dalle strutture lo-fi e dalle consistenze country rock che vede, oltretutto, la partecipazione di una “masnada” di cantanti e musicisti da brivido. Intervengono, infatti, John Convertino che accarezza i tamburi in The Train Singer’s Song, Square Bored Lil’ Devil e altre ancora, Neko Case che canta in Mope A Long Rides Again e in Getting It Made (quest’ultima assieme a Richard Bruckner), Kurt Wagner che canticchia (mentre guida) in The Muss Of Paradise, Jason Lytle dei Grandaddy che, oltre a cantare, suona diversi strumenti in Working On The Railroad, M. Ward che presta la sua slide guitar in Rusty Tracks e, udite udite, la regina delle regine Chan Marshall (alias Cat Power) che per pochi istanti si inserisce in My Hoo Ha. A tutto il resto, invece, ci pensa la chitarra e la voce dell’immenso Howe Gelb che modella un’opera a sua immagine e somiglianza, sempre in bilico tra genio e sregolatezza. Ad ascolto ultimato, Still Lookin’ Good To Me si rivela un lavoro vibrante e fuori dal tempo allo stesso modo dell’immagine riprodotta sulla copertina: una vecchia foto presa da un giornale di Tucson del 1973 trovato come addobbo lungo una strada. Un disco che non dovrebbe mancare nella vostra collezione di bellissimi loser. (Luca D’Ambrosio)

[1]Recensione pubblicata su ML – n. 53 del 07.04.2008



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