Le traiettorie disegnate dai Dakota Suite si dissolvono con la luce del giorno e il rischio più grave, percorrendo queste distanze, è quello di considerare This River Only Brings Poison un disco semplicemente angosciante. Ma in realtà non è così, perché le armonie generate dalla “formazione” di Leeds sono semplicemente eteree e colmano, con ineluttabile garbo, quei bigi spazi di vita quotidiana oramai sempre più irrequieta e priva di emozioni. Quelli che escono fuori da questa nuova fatica[1] dei Dakota Suite sono, difatti, brani di una bellezza profonda screziati qua e là da improvvisi sussulti melodici, ora di tromba, ora di pianoforte; tracce che rapiscono il cuore grazie a una misurata combinazione di chitarre acustiche e di canti sofferenti che, lentamente, si sbrogliano in tessuti ritmici mai sopra le righe. L’artefice di questa meraviglia si chiama Chris Hooson, un compositore autentico che si erge dietro ogni composizione del disco mettendo in mostra il proprio talento con il minimo necessario. Un lavoro romantico e depresso che, partendo dal minimalismo folk di Nick Drake, segue le scie slowcore e quel raffinato modernismo folk/pop alla maniera dei Low e L’Altra (con particolare riferimento a Things We Lost In The Fire del 2001 e In The Afternoon del 2002). Tra le canzoni preferite spicca, su tutte, Sand fools the shoreline, con la voce di Laura Donohue che accompagna magnificamente quella di Chris Hooson. E il risultato finale è una perfetta unione di poesia, garbatezza e musica dai toni crepuscolari che fanno di This River Only Brings Poison un album vero e a misura d’uomo. Da ascoltare alla finestra, mentre tutto intorno scorre velocemente. (Luca D’Ambrosio)
[1]Recensione pubblicata su ML – n. 34 del 20 giugno 2006