Nato in Arizona da madre haitiana/filippina e padre spagnolo/portoricano, Ramòn Vicente Alarcòn è un ragazzo cresciuto a suon di filastrocche, musical e fiabe come Pinocchio e Biancaneve. Retaggi culturali che, inevitabilmente, lasceranno un segno ben visibile nella personalità artistica del giovane sognatore americano dalla voce tanto espressiva quanto modulata (“Un ragazzo americano con la testa nel cielo e la voce da bambino”, scrive Les Inrockuptibles). Dopo aver militato in diverse formazioni, tra cui i Denver In Dallas, l’esile songwriter prende in prestito il nome dalla nonna materna, Ramona Córdova, e decide di pubblicare la sua prima favola musicale con l’aiuto dell’amico Dave Conway che per l’occasione fonda una piccola label. Ecco quindi che, con un titolo suggestivo e con una copertina abbastanza inquietante, viene dato alle stampe The Boy Who Floated Freely, un disco che narra la storia di un ragazzo (Giver) che naufraga su un’isola apparentemente disabitata (“I was just a boy / fell into an ocean / washed up on a shore / and now I’m here to see / what i will see”), per poi diventare vittima di una pozione d’amore di una fanciulla gitana (Marcìa). Un album intenso e vibrante, screziato – qua e là – da repentine variazioni umorali e vocali, con canzoni acustiche a bassa definizione che, per quanto semplici e dirette, non stancano l’ascolto. Caratteristiche inconfutabili di un lavoro che, pur non indicando nuove frontiere, entusiasma e sorprende attraverso le sue morbide e stravaganti patine popolari. Un meraviglioso bozzetto di derivazione pre-war folk (Into The Gypsy Bar, Sung With The Birds, Hot And Heavy Harmony e Mixing The Potion) che ricorda il candore di Devendra Banhart, le cedevolezze chitarristiche di M. Ward (o di José González) e persino certe intemperanze del miglior Daniel Johnston (Giver’s Reply). Con i vocalizzi androgini e tormentati di Introduction e di One Day Someday si ha l’impressione invece di attraversare quei luoghi segreti e incantati delle sorelle Sierra & Bianca Casady (alias CocoRosie). The Boy Who Floated Freely è un esordio davvero ammaliante capace, oltretutto, di rivelare tutta l’imperfezione dell’essere umano, come quando Marcìa, per esempio, stanca dell’incantesimo e quindi anche di quell’illusione d’amore decide di abbandonare Giver, lasciandolo nuovamente libero di fluttuare sulle onde spumose di un mare profondo. (Luca D’Ambrosio)
[1]Recensione pubblicata su ML – n. 39 del 12 novembre 2006